
Violenza sulle donne: un male che cambia volto ma resta radicato
Beatrice LencioniCondividi
C’è un momento, spesso silenzioso e invisibile, in cui una donna smette di sentirsi al sicuro. Non sempre accade con un gesto eclatante, a volte inizia con parole taglienti, con il controllo sul telefono, con il disprezzo camuffato da ironia. La violenza di genere non nasce mai all’improvviso: germoglia dentro una cultura che la tollera, che la giustifica, che la minimizza. Ed è qui che la realtà ci sorprende e ci mette di fronte a una verità scomoda: oggi le vittime sono sempre più giovani, spesso donne laureate, con un lavoro, apparentemente indipendenti e forti. Ma l’indipendenza economica, da sola, non basta a proteggerle.
Giovani, istruite e indipendenti: perché non basta
Potremmo pensare che l’autonomia finanziaria o l’istruzione siano armi sufficienti per tenere lontana la violenza. Eppure, i dati raccontano altro: sempre più ragazze, anche giovanissime, cadono in relazioni abusive. È come se il patriarcato sociale e culturale avesse imparato a mascherarsi, adattandosi ai tempi. Non si presenta più soltanto con imposizioni esplicite, ma con forme sottili di controllo, con ricatti emotivi, con quella spirale lenta che rende difficile distinguere l’amore dalla dipendenza.
La verità è che la violenza non guarda il titolo di studio, non chiede il conto in banca. È un problema che affonda le radici nella mentalità collettiva e nei modelli di relazione che ereditiamo. Per questo, l’indipendenza economica è una condizione importante, ma non sufficiente.
Il patriarcato sociale e culturale: una presenza ancora viva
Parlare di patriarcato non significa evocare un concetto lontano o antiquato. Significa riconoscere che esistono ancora dinamiche sociali e culturali che legittimano l’idea che una donna sia “di proprietà” di un uomo. Sono atteggiamenti che vediamo nei media, nel linguaggio comune, perfino nei corridoi delle scuole: battute sessiste, stereotipi sulle ragazze “troppo ambiziose”, giudizi sul corpo e sulle scelte personali.
Il patriarcato è vivo quando la gelosia viene ancora chiamata amore, quando il possesso viene confuso con la passione, quando si chiede a una donna “ma cosa hai fatto per provocarlo?”. Finché questi pensieri resteranno diffusi, la violenza sulle donne continuerà a trovare terreno fertile.
La spirale della violenza: segnali spesso invisibili
La violenza non è sempre immediatamente fisica. Molte relazioni abusive iniziano con piccoli segnali che spesso vengono ignorati o sottovalutati: un partner che isola dagli amici, che pretende di sapere ogni dettaglio della giornata, che alza la voce per imporsi.
Riconoscere questi segnali è fondamentale. Non servono solo strumenti legali o economici, ma la capacità di leggere dentro le relazioni. La violenza psicologica, per esempio, logora lentamente l’autostima, fa dubitare di sé, spegne sogni e ambizioni. Spesso è la porta d’ingresso verso la violenza fisica ed economica, rendendo la vittima sempre più dipendente e vulnerabile.
I figli come spettatori e vittime indirette
Un aspetto spesso dimenticato riguarda i bambini e gli adolescenti che crescono in famiglie attraversate dalla violenza. Anche se non vengono colpiti direttamente, assistono a scene che lasciano segni profondi. Un figlio che sente le urla dietro una porta chiusa o che trova la tavola sparecchiata in fretta dopo una lite violenta non è un semplice spettatore: è una vittima indiretta.
Molti ragazzi e ragazze imparano da piccoli che la rabbia è più forte del dialogo, che il silenzio è una forma di sopravvivenza, che l’amore può fare male. E portano con sé questi modelli nelle loro future relazioni.
Come riconoscere e interrompere una relazione abusante
Una delle sfide più grandi è aiutare le giovani donne a distinguere tra una relazione sana e una relazione tossica. Spesso si pensa che l’amore richieda sacrifici, che la gelosia sia un segno di interesse, che sopportare significhi dimostrare fedeltà. In realtà, una relazione abusiva si riconosce da alcuni elementi ricorrenti: la paura di parlare liberamente, la sensazione di dover sempre “camminare sulle uova”, la perdita progressiva di autonomia.
Per interrompere questa spirale serve prima di tutto consapevolezza. Poi, una rete di sostegno che possa accogliere senza giudicare, offrendo strumenti pratici: numeri da chiamare, luoghi sicuri, ma soprattutto la certezza che non si è soli.
L’importanza dell’educazione affettiva nelle scuole
Se vogliamo davvero cambiare le cose, dobbiamo partire dall’educazione. La scuola può diventare un luogo privilegiato per insegnare a riconoscere i segnali di violenza e a coltivare relazioni sane. Educazione affettiva significa imparare a rispettare i confini dell’altro, a gestire le emozioni, a comunicare senza prevaricare.
Quando ragazzi e ragazze hanno strumenti concreti per leggere ciò che accade nelle loro vite emotive, diventano più capaci di difendersi e di difendere chi hanno accanto. E soprattutto possono crescere come adulti liberi da modelli tossici.
Comunità e reti di supporto: non si è mai soli
La violenza di genere non si combatte da soli. Servono reti, associazioni, counselor, gruppi di auto mutuo aiuto, istituzioni e comunità intere che dicano chiaramente: noi siamo qui, insieme. Ogni donna che trova il coraggio di chiedere aiuto deve avere la certezza di essere accolta, senza sentirsi giudicata o colpevolizzata.
Anche chi non vive direttamente queste situazioni può fare la differenza: un’amica che ascolta, un vicino che interviene, un insegnante che si accorge di un disagio. La prevenzione nasce proprio dall’attenzione collettiva.
Il ruolo del counseling: ascolto, strumenti, cambiamento
Nel mio lavoro di counselor relazionale a Torino ho incontrato donne e uomini che hanno portato in colloquio ferite invisibili. Spesso, dietro la violenza di genere, ci sono storie di silenzi, di vergogna, di paure che paralizzano. Nel percorso di counseling non offro soluzioni pronte, ma uno spazio sicuro dove esplorare emozioni, riconoscere dinamiche e trovare nuove possibilità.
Il counseling diventa così un alleato prezioso: aiuta a ricostruire l’autostima, a leggere i segnali di una relazione abusante, a immaginare un futuro diverso. È un cammino che non si fa da soli e che può essere iniziato anche con un colloquio gratuito, pensato proprio per dare un primo sostegno concreto.
Conclusione: dalla consapevolezza alla trasformazione
La violenza sulle donne non è un destino ineluttabile, ma un fenomeno sociale che possiamo trasformare. Serve coraggio per guardarla in faccia e riconoscere che riguarda tutti noi: uomini e donne, giovani e adulti, famiglie e comunità.
Non possiamo illuderci che basti l’indipendenza economica o l’istruzione. Serve una cultura diversa, capace di spezzare il legame tra amore e possesso, di valorizzare la libertà reciproca, di insegnare che il rispetto non è un optional ma la base di ogni relazione.
Se senti che nella tua vita qualcosa non va, sappi che non sei solə. Puoi trovare ascolto, sostegno e strumenti. Puoi iniziare da qui, esplorare i contatti e concederti la possibilità di un primo passo. Perché la trasformazione inizia sempre da una scelta: quella di non restare in silenzio.