
Uscire dalla Zona di Comfort: Il Primo Passo Verso una Vita Più Autentica
Beatrice LencioniCondividi
Ci sono fasi della vita in cui tutto dentro di noi urla che qualcosa deve cambiare. Una relazione ci logora. Un lavoro ci svuota. Una routine ci spegne lentamente. Eppure restiamo lì. Inchiodatǝ, anche quando sappiamo che non ci fa bene. Perché? Perché quella situazione, per quanto difficile o dolorosa, è familiare. E ciò che è familiare, il nostro cervello lo etichetta come “sicuro”.
Uscire dalla zona di comfort non significa soltanto lasciare ciò che ci fa stare male. Significa abbandonare l’illusione del controllo, la prevedibilità che ci protegge, ma allo stesso tempo ci limita. Non è facile, no. È uno di quei passaggi che scuotono il corpo e l’anima. Ma può diventare il primo vero atto d’amore verso sé stessǝ.
Perché il cervello teme il cambiamento?
Ci sono fasi della vita in cui tutto dentro di noi urla che qualcosa deve cambiare. Una relazione ci logora. Un lavoro ci svuota. Una routine ci spegne lentamente. Eppure restiamo lì. Inchiodatǝ, anche quando sappiamo che non ci fa bene. Perché? Perché quella situazione, per quanto difficile o dolorosa, è familiare. E ciò che è familiare, il nostro cervello lo etichetta come “sicuro”.
Uscire dalla zona di comfort non significa soltanto lasciare ciò che ci fa stare male. Significa abbandonare l’illusione del controllo, la prevedibilità che ci protegge, ma allo stesso tempo ci limita. Non è facile, no. È uno di quei passaggi che scuotono il corpo e l’anima. Ma può diventare il primo vero atto d’amore verso sé stessǝ.
Quando proviamo a cambiare, il nostro cervello si attiva come se fossimo in pericolo. Si mette in allerta. L’amigdala – quel piccolo ma potente centro di allarme – si accende e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene inizia a produrre cortisolo e adrenalina. Il corpo si prepara a combattere, fuggire o congelarsi. È una risposta antica, scritta nel nostro sistema nervoso da migliaia di anni, per proteggerci. Ma oggi non siamo nella savana. Oggi quel “pericolo” può essere l’idea di dire basta a una situazione che ci spegne.
Ecco perché anche una zona di comfort dolorosa – come una relazione tossica, un lavoro che ci opprime, un’abitudine distruttiva – viene vissuta come un porto sicuro. La mente preferisce il conosciuto al buio dell’ignoto. È una forma di difesa, non di debolezza.
Dentro di noi si accende un conflitto profondo. Da una parte c’è la mente razionale, quella che guarda avanti, che sogna, che desidera. È la corteccia prefrontale, quella che ci dice: “puoi farcela, meriti di più”. Dall’altra parte c’è il sistema limbico, il nostro archivio emotivo, che custodisce ricordi, paure, legami. È lì che si nasconde la voce che sussurra: “meglio non rischiare, resta dove sei”.
Questo tira e molla può generare una resistenza fortissima. Si manifesta con ansia, insicurezza, autosabotaggio. A volte sappiamo perfettamente cosa ci farebbe bene, ma non riusciamo a muoverci. Come se ci fosse una colla invisibile che ci tiene fermi.
Il potere nascosto dell’incertezza
Eppure, proprio in quel momento, qualcosa di prezioso accade. Quando proviamo a rompere lo schema abituale, si attiva nel cervello un processo meraviglioso: la neuroplasticità. È la capacità di formare nuove connessioni neurali, di imparare, di cambiare. È come se ogni passo verso l’ignoto tracciasse una nuova strada nel bosco. All’inizio è tutto da esplorare, ma poi quel sentiero diventa sempre più percorribile. E tu, sempre più liberǝ.
Ma attenzione: uscire dalla zona di comfort non significa atterrare subito in un luogo sereno. C’è una fase intermedia, una terra di mezzo. È quella che io chiamo “zona di apprendimento”. Qui le vecchie strategie non funzionano più, e le nuove sono ancora fragili. È un tempo di smarrimento. Può far paura, sì. Ma è anche il tempo in cui avviene la vera trasformazione.
Il cervello è in cantiere, come un edificio in ristrutturazione. In questa fase è fondamentale avere strumenti per sostenere l’instabilità: la mindfulness, il counseling, la meditazione, il ThetaHealing. Non sono magie, né soluzioni pronte. Ma sono pratiche che aiutano a calmare il sistema nervoso, a stabilizzare il nuovo equilibrio, a tornare in contatto con sé.
Se senti il bisogno di uno spazio sicuro dove poter elaborare il cambiamento, puoi prenotare un colloquio gratuito con me. Non sei solǝ, e non sei debole se hai bisogno di un appoggio.
Uscire da una zona di comfort dolorosa è un gesto profondamente rivoluzionario. È dire al tuo sistema nervoso: “So che hai paura, ma scelgo comunque di crescere”. E qualcosa cambia. Lentamente, iniziano ad attivarsi nuovi circuiti legati alla motivazione, alla ricompensa, alla scoperta. La dopamina – la molecola del desiderio – inizia a farsi sentire, ogni volta che intravedi i primi risultati del tuo coraggio.
È lì che smetti di sopravvivere e inizi a vivere davvero.
Una storia vera: la zona “comoda” di Marta
Marta (nome modificato) è una persona che ho avuto il piacere di accompagnare. Per anni ha lavorato in un ambiente che la soffocava. Ogni giorno si svegliava con l’ansia, ma restava. “È sicuro”, si diceva. “Fuori c’è il caos, almeno qui so come gestirmi”. Poi, un giorno, ha trovato il coraggio di dire basta. Non è stato un passaggio semplice. I primi mesi dopo le dimissioni sono stati un’altalena di emozioni. Ma poco a poco, in quello spazio nuovo, Marta ha ritrovato passioni dimenticate. Ha ricominciato a disegnare. E da quei disegni è nato un nuovo progetto lavorativo. Oggi dice: “Per la prima volta, sento che sto vivendo e non più solo resistendo”.
Il corpo, in tutto questo, è un compagno prezioso. Spesso si accorge molto prima della mente che qualcosa non va. I segnali sono sottili: un peso sul petto, stanchezza cronica, tensioni che non passano. Quando iniziamo a uscire dalla zona di comfort, il corpo reagisce. A volte con ansia, insonnia, irrequietezza. Ma altre volte con leggerezza, respiro più libero, un senso di sollievo inspiegabile. Ecco perché è così importante ascoltare il corpo, rispettarlo, sostenerlo.
Sul mio sito beatricelencioni.it puoi trovare alcune pratiche che propongo proprio per accompagnare questi momenti di transizione. Non si tratta di indicarti una strada già tracciata, ma di aiutarti a sentire meglio la tua.
E se ti sembra di non avere nessuno accanto, ricordati: non sei solǝ. A volte basta una presenza che ascolta, una voce che non giudica, un cuore che resta. È questo che cerco di offrire con il mio lavoro: uno spazio in cui tu possa sentirti accolto, accolta, senza maschere. Se vuoi, puoi scrivermi attraverso il mio modulo di contatto. Sarò felice di risponderti.
Sì, fa paura. Ma ne vale la pena
Uscire dalla zona di comfort è un passaggio che lascia il segno. Non è una passeggiata. È una traversata. Ma dall’altra parte non c’è solo il cambiamento. C’è la tua autenticità che aspetta di essere vissuta. C’è una versione di te che hai sempre saputo esistere, ma che ancora non avevi avuto il coraggio di incontrare.
Se sei arrivatǝ fin qui a leggere, forse una parte di te è già pronta. Non devi avere tutte le risposte. Non devi sapere già dove andrai. Serve solo un primo passo.
E se vuoi farlo insieme, io sono qui.