Beatrice Lencioni Counselor a Torino

Smettere di colpevolizzare: ritrova la tua forza adulta interiore

Beatrice Lencioni

Ci sono parole che non accarezzano, non ti danno ragione, ma ti svegliano. Come quelle che dicono, senza mezzi termini: "Se cerchi conferme per dare la colpa agli altri o per continuare a idealizzarli, forse non è questo il posto giusto". Perché qui si parla di assumersi la responsabilità, di guardarsi in faccia, di smettere di restare ancorati a ruoli che non ci appartengono più.

Potrebbe farti alzare un sopracciglio. Oppure potrebbe colpirti dritto al cuore, come ha fatto con me anni fa, quando ho iniziato a rendermi conto di quanta energia perdevo cercando spiegazioni fuori da me. E in quel momento si è aperto un varco.

La tentazione di dare la colpa (e perché ci resta comoda)

La verità è che dare la colpa agli altri ci fa sentire, almeno per un po', sollevati. Non è colpa mia se sono così fragile, se ho paura dell'amore, se ogni volta che qualcosa va storto me la prendo con il mondo. E in parte, forse, non lo è davvero. Nessuno nasce imparando ad amare, a rispettarsi, a mettersi dei confini. Ma c'è una grande differenza tra comprendere le origini del nostro dolore e restarci impantanati.

Idealizzare o demonizzare chi ci ha fatto male, o ci ha fatto "da specchio", può diventare una trappola. Ci blocca nel passato e ci impedisce di muoverci. Ogni volta che rimettiamo in scena il film del torto subito, riproponiamo un ruolo da vittime che toglie potere alle nostre scelte presenti. E il punto non è negare ciò che è accaduto, ma smettere di esserne prigionieri.

Lavorare con la parte adulta di te

Quando ricevo una persona in colloquio, non cerco colpevoli. Cerco chi, tra i frammenti di ciò che è successo, ha ancora voglia di camminare. La parte adulta. Quella che ha paura, certo, ma che ha anche la possibilità di scegliere, oggi, qui, come vuole proseguire.

Se restiamo fermi a proiettare sugli altri il dolore che non abbiamo ancora guardato, perdiamo contatto con noi stessi. Restiamo nella posizione di chi aspetta qualcosa o qualcuno che venga a salvarci. Eppure, lo so per esperienza personale e professionale: nessuno può farlo al posto nostro.

Dalla proiezione alla responsabilità

La proiezione è un meccanismo comune. Vediamo nel capo il genitore autoritario, nel partner la madre assente, negli amici il fratello maggiore che ci faceva sentire invisibili. Ma crescere, emotivamente, significa prendere in mano le redini e chiederci: “Cosa voglio fare ora con questa ferita?". Non è facile, ma è lì che inizia la trasformazione.

Non c'è crescita dove c'è solo accusa. Non c'è pace se non impariamo a restituire simbolicamente ciò che non ci appartiene più. Non serve cancellare tutto. Serve riconoscere, integrare, onorare perfino, e poi, con gratitudine, chiudere quel capitolo.

Un viaggio che passa dal corpo e dall'anima

Nei miei colloqui uso strumenti diversi, dal counseling relazionale alla meditazione, dai Fiori di Bach al ThetaHealing. Non perché penso che servano formule magiche, ma perché il nostro modo di stare nel mondo coinvolge emozioni, corpo, pensieri e storia personale.

Quando ci sentiamo vittime degli altri, spesso è anche il nostro corpo a gridarlo: spalle contratte, respiro corto, stomaco chiuso. Ed è proprio lì che possiamo iniziare: imparare ad ascoltarci di nuovo, a respirare, a sentire. Ritrovare quel "luogo sicuro" dentro di noi che non ha bisogno di accusare, ma solo di esprimersi e guarire.

Il puzzle va ricomposto, ma senza colla

Ci sono momenti nella vita in cui i pezzi sembrano sparsi ovunque. E l'istinto ci dice: incolliamoli in fretta, facciamo ordine, diamoci una spiegazione che ci faccia sentire meglio. Ma se incolli i pezzi con la rabbia, la colpa o il bisogno di vendetta, il disegno si deforma.

Per questo ti invito a fare una cosa diversa: guardali tutti quei pezzi, uno per uno. Accettali. Riconosci quello che ti hanno insegnato, anche se fa male. E poi, ricomponili senza giudizio. Quel puzzle è la tua storia. Non è perfetta. Ma è tua. E una volta rimesso insieme, non ti serve più restare lì a contemplarlo. Puoi andare avanti.

Ringrazia, anche quando non ti viene spontaneo

Lo so. Dire "grazie" a chi ti ha fatto soffrire può sembrare assurdo. Ma la gratitudine non è sempre verso la persona, quanto verso l'esperienza. Non è un perdono forzato. È il riconoscimento che, nonostante tutto, hai continuato a esistere. Hai imparato. Sei diventatɒ qualcosa di diverso. E questo merita gratitudine.

Può sembrare un salto enorme. Ma ti assicuro che è un passaggio potente: dal dolore alla trasformazione, dalla rabbia alla libertà. Se senti che è il momento di farlo, posso camminare accanto a te.

Adulti, anche quando fa paura

Non c'è niente di male nell'essere stati feriti. Tutti abbiamo una storia. Ma vivere da adulti significa assumersi la responsabilità di ciò che vogliamo oggi. Se scegli di non rimanere nel copione del lamento, della colpevolizzazione o dell'idealizzazione, allora possiamo iniziare a costruire qualcosa di nuovo.

E se non sai da dove iniziare, puoi leggere di più su chi sono, oppure scrivermi direttamente. Se desideri un primo colloquio gratuito per capire se questo percorso fa per te, puoi prenotarlo qui: colloquio gratuito online.

Ogni viaggio verso la libertà comincia da un atto di verità: smettere di raccontarsela, e iniziare a scegliere.

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