Senso di colpa: come imparare a gestirlo
Beatrice LencioniCondividi
Cara lettrice, caro lettore,
Ti scrivo perché forse anche tu, almeno una volta, hai sentito dentro di te quella stretta fastidiosa. Quel peso muto che ti accompagna a fine giornata. Quel pensiero ricorrente che ti dice: “Avresti potuto fare meglio”, “Avresti dovuto dire di no”, “È colpa tua”. E non importa quanto piccolo sia l’evento che lo ha scatenato: a volte basta una parola fuori posto, un messaggio non risposto, un bisogno proprio messo da parte.
Il senso di colpa, quando arriva, lo fa con passo silenzioso ma deciso. Si insinua tra le nostre giornate e ci fa dubitare di ciò che siamo, di ciò che vogliamo, persino del diritto di stare bene.
Sai, spesso mi capita di incontrare persone che arrivano a un colloquio con lo sguardo stanco, non per la mancanza di sonno, ma per la presenza costante di una voce interiore che le accusa, le incolpa, le trattiene. E magari non sanno nemmeno perché.
Ci insegnano presto a distinguere il giusto dallo sbagliato. Ma ci insegnano meno a distinguere la responsabilità reale dalla colpa inutile. Cresciamo con l’idea che essere “bravi” significhi non deludere, non ferire, non far pesare agli altri i nostri bisogni. Così impariamo a metterci da parte. A volte perfino a scomparire.
Eppure il senso di colpa non nasce per distruggerci. Nasce per indicarci un confine. Per mostrarci che qualcosa, dentro di noi, è stato urtato: un valore, un legame, una parte profonda. È un’emozione sociale, legata alla relazione con l’altro. Ma quando diventa un tribunale interiore costante, quando giudica senza appello, allora smette di aiutarci e comincia a bloccarci.
Ci sono tanti modi in cui il senso di colpa si manifesta. C’è chi lo prova ogni volta che prende una decisione per sé. Chi lo sente quando dice di no. Chi si sente in colpa per avere successo, per essere sopravvissutə a una situazione difficile mentre altri no. C’è anche chi lo prova solo perché si sente felice. Sì, felice. Come se fosse una colpa anche quella.
Ti è mai successo?
A me sì. Una volta ho detto di no a un invito, perché ero stanca. Avevo bisogno di silenzio, di raccoglimento. Ma per giorni ho sentito il peso di quella scelta. Come se avessi tradito qualcuno. Eppure avevo solo scelto me stessa. Eppure… mi sentivo in torto.
A volte il senso di colpa ha radici profonde. Affonda nei nostri primi anni, quando per essere amatə abbiamo imparato a compiacere. Quando ci bastava uno sguardo deluso dei nostri genitori per sentirci sbagliatə. Quelle emozioni non spariscono col tempo, si trasformano. E diventano la voce che ci accusa oggi, anche se non sappiamo bene da dove arriva.
Ma fermiamoci un attimo. Perché ci serve, oggi, parlare di tutto questo?
Perché il senso di colpa, se lo guardiamo in faccia, può dirci molto su di noi. Può raccontarci cosa ci sta a cuore. Può mostrarci quali regole interne ci stiamo imponendo. E soprattutto, può farci vedere quando stiamo confondendo l’amore con l’adattamento.
Non siamo colpevolə ogni volta che scegliamo noi stessi. Non siamo egoisti quando decidiamo di mettere un confine. Non siamo crudeli quando smettiamo di portare pesi che non ci appartengono.
Molte persone mi chiedono: “Ma come si fa a distinguere il senso di colpa utile da quello inutile?”
Ecco, inizia tutto da una domanda semplice: “Ho fatto qualcosa che ha ferito realmente qualcuno?” Se la risposta è sì, allora possiamo riflettere, magari riparare, chiedere scusa. Ma se la risposta è no, se la colpa nasce solo dal fatto di avere bisogno, di dire la verità, di non essere disponibili sempre… allora forse quel senso di colpa non è nostro. È qualcosa che ci hanno insegnato a portare, ma che possiamo scegliere di lasciare andare.
Ci sono colpe che derivano dalla cultura in cui cresciamo. Alcune società spingono a sentirsi colpevoli per qualunque cosa: per non essere perfetti, per non conformarsi, per avere emozioni. E poi ci sono colpe più sottili: quelle che derivano dal sentirsi fortunatə, dal pensare di non aver fatto abbastanza, dal senso onnipotente di dover salvare sempre tutto e tutti.
In questi casi, il senso di colpa smette di essere un campanello e diventa una catena. Una zavorra. Una prigione interiore.
Ecco perché serve imparare a riconoscerlo. Non per scacciarlo, ma per comprenderlo. Per guardarlo in faccia e chiedergli: “Da dove vieni? A cosa mi stai servendo?” Solo così possiamo trasformarlo. Solo così possiamo riprenderci la libertà di vivere in modo più autentico.
Se stai leggendo fino a qui, forse qualcosa dentro di te ha riconosciuto le mie parole. Forse anche tu hai una colpa che ti porti dietro da troppo tempo. Forse pensi di dover meritare ogni briciola d’amore. Forse non riesci a perdonarti per qualcosa che oggi non faresti più. O forse ti stai solo chiedendo se hai diritto di essere felice.
La risposta è sì.
Hai diritto a scegliere te stessə. Hai diritto a sbagliare, a imparare, a dire di no. Hai diritto a vivere senza sentirti colpevole ogni volta che segui ciò che ti fa stare bene.
Io sono una counselor, e il mio lavoro non è dirti cosa è giusto o sbagliato. Non sono qui per giudicare, né per “curare”. Il mio ruolo è accompagnarti nel fare chiarezza. È creare uno spazio in cui tu possa ascoltarti senza paura. Un luogo sicuro dove esplorare emozioni, bisogni, paure. Dove imparare a distinguere la tua voce da quella degli altri.
Nel mio sito Beatrice Lencioni trovi uno spazio pensato proprio per questo: per accogliere le domande che forse hai sempre avuto, ma non hai mai avuto modo di porre. Se senti che è il momento di iniziare questo viaggio, puoi scrivermi dalla pagina dei contatti o richiedere un colloquio gratuito online, senza impegno.
Ti accoglierò senza giudizio, con rispetto e presenza. Perché meriti di vivere una vita più leggera. Una vita dove il senso di colpa non ti tenga più prigionierə, ma diventi – quando serve – un alleato. Un segnale. Un’opportunità per tornare a te.
Con affetto,
Beatrice
Counselor Relazionale