Scherzo o bullismo? Riconoscere il confine invisibile
Beatrice LencioniCondividi
Quante volte ci è capitato di dire o sentire la frase: “Dai, era solo uno scherzo!”. A volte basta una risata per sdrammatizzare, altre volte invece quella frase pesa come un macigno. È proprio qui che nasce la domanda che dà il titolo a questo articolo: quando finisce lo scherzo e quando comincia il bullismo? Non è una distinzione teorica, ma qualcosa che nella vita reale fa la differenza tra un sorriso condiviso e una ferita interiore che può lasciare segni profondi.
Ricordo ancora un episodio dei miei anni scolastici: un compagno prese in giro un altro per il suo accento, all’inizio tra le risate generali. Poi, però, quelle battute divennero quotidiane, insistenti, fino a trasformarsi in un tormento. Quel ragazzo iniziò a parlare sempre meno, a sedersi in fondo all’aula, quasi volesse scomparire. Non si trattava più di un gioco. Era un dolore che nessuno aveva riconosciuto in tempo.
Perché il confine tra gioco e bullismo è così sottile
La linea di demarcazione tra scherzo e bullismo non è scritta in un manuale. A volte è impercettibile, eppure c’è. Uno scherzo fa ridere tutti, bullismo significa che ride solo chi lo compie, mentre chi lo subisce resta ferito. Lo scherzo è un momento di complicità, il bullismo è un atto di prevaricazione.
Il problema è che spesso questo confine lo notiamo troppo tardi, quando ormai chi ha subito porta dentro di sé rabbia, vergogna o senso di isolamento. Per questo è importante imparare a leggere i segnali e non giustificare con leggerezza ciò che in realtà è un atto di violenza psicologica.
Le emozioni di chi subisce: un peso che non si vede
Il bullismo non lascia lividi visibili, ma scava ferite nell’autostima. Una frase detta in modo sprezzante, una risata fuori posto, un soprannome ripetuto mille volte… possono sembrare banalità a chi le pronuncia, ma diventano pesi insostenibili per chi le riceve.
L’adolescenza, in particolare, è un periodo delicato. I ragazzi e le ragazze costruiscono la loro identità, cercano di capire chi sono e di farsi accettare. Se in quel momento fragile incontrano prese in giro continue, rischiano di interiorizzarle come una verità sul proprio valore.
L’ironia sana e l’ironia velenosa: due mondi diversi
L’ironia, quando è sana, è un collante nelle relazioni. Ci permette di ridere insieme delle nostre imperfezioni, di alleggerire situazioni tese, di giocare con le parole senza ferire. L’ironia velenosa, invece, umilia, mette in ridicolo, sottolinea differenze con lo scopo di escludere.
La differenza è semplice: se dopo una battuta ci sentiamo accolti e sorridiamo insieme, allora è ironia sana. Se ci sentiamo messi all’angolo, giudicati o isolati, allora è bullismo mascherato da scherzo.
Il ruolo della scuola e della famiglia
Non possiamo ignorare il ruolo educativo della scuola e della famiglia. Entrambe le realtà hanno il compito di insegnare il rispetto, non come concetto astratto ma come pratica quotidiana. Ogni volta che un insegnante interviene per bloccare una presa in giro, ogni volta che un genitore spiega a un figlio che le parole hanno conseguenze, si costruisce un mattone di prevenzione.
La scuola, in particolare, dovrebbe essere un luogo sicuro dove si impara non solo la matematica o la grammatica, ma anche il valore dell’empatia. Purtroppo non sempre è così, e spesso il bullismo si insinua proprio nei corridoi, nascosto dietro risate di gruppo.
Il bullismo invisibile: quello che non lascia lividi
Spesso immaginiamo il bullismo come un atto fisico, una spinta, un pugno, un’aggressione evidente. In realtà, oggi il bullismo più diffuso è quello invisibile: quello delle parole, dei silenzi, delle esclusioni. È il bullismo che non fa notizia perché non si vede, ma logora dentro.
Essere ignorati sistematicamente da un gruppo, essere esclusi da chat o attività, ricevere soprannomi offensivi sono atti che lasciano cicatrici invisibili. Eppure queste ferite condizionano la vita di chi le subisce, rendendo più difficile la fiducia negli altri e in se stessi.
Cyberbullismo: quando la violenza entra nelle chat
Con l’arrivo dei social e della comunicazione digitale, il bullismo ha trovato un nuovo terreno fertile: il web. Il cyberbullismo è ancora più insidioso perché non ha orari, non finisce con la campanella della scuola. Ti raggiunge ovunque, di giorno e di notte, attraverso un telefono che diventa un’arma.
Un commento offensivo sotto una foto, un meme condiviso in una chat di classe, un video derisorio che circola senza sosta… non sono semplici “scherzi”. Sono attacchi che amplificano l’umiliazione davanti a un pubblico infinito.
Come educare al rispetto fin da piccoli
La prevenzione non inizia in adolescenza, ma molto prima. I bambini devono imparare da subito che le parole hanno un peso, che ridere insieme è diverso dal ridere di qualcuno. Crescere nella cultura del rispetto significa insegnare che ogni persona merita dignità, indipendentemente dall’aspetto, dalle scelte o dalle differenze.
Un esercizio semplice che propongo spesso nei percorsi di gruppo è questo: immaginare come ci sentiremmo se la stessa battuta rivolta a un amico venisse fatta a noi. Questo piccolo passo di empatia può già fare una grande differenza.
Storie e testimonianze: il potere delle parole
Le testimonianze di chi ha subito bullismo ci ricordano che non si tratta mai di “ragazzate”. Ogni parola offensiva lascia un segno. Alcune persone raccontano di aver portato per anni il peso di un soprannome, altre ricordano il dolore di non essere state difese da nessuno.
Leggere o ascoltare queste storie è un invito a fermarsi e riflettere. Spesso basta un piccolo gesto di gentilezza per spezzare il circolo vizioso: una parola di sostegno, una mano tesa, un compagno che decide di non ridere insieme agli altri.
Cosa possiamo fare tutti i giorni per prevenire
La prevenzione del bullismo non è un compito che riguarda solo scuole o famiglie. È una responsabilità collettiva. Significa educare al linguaggio, scegliere consapevolmente le parole, riconoscere quando uno scherzo sta diventando violento e avere il coraggio di dirlo.
Significa anche costruire comunità dove la diversità non sia un motivo di esclusione ma una ricchezza. Dove il ragazzo con i capelli lunghi, la ragazza con un accento diverso o chiunque abbia caratteristiche fuori dagli schemi non venga ridicolizzato, ma accolto.
Scegliere sempre il lato della gentilezza
Alla fine la domanda resta sempre la stessa: scherzo o bullismo? La risposta dipende da noi, dal modo in cui usiamo le parole e dal rispetto che portiamo agli altri. Possiamo decidere di ridere insieme o di ferire, di costruire o di distruggere.
La gentilezza non è debolezza, è una scelta di forza. È la capacità di riconoscere i confini e di restare dalla parte dell’umanità. Perché ogni volta che evitiamo di ridere a spese di qualcuno, scegliamo un mondo un po’ più giusto.
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