Quando una frase pesa più di un gesto: riconoscere la violenza silenziosa delle parole
Beatrice LencioniCondividi
Fermiamo subito la violenza delle parole
Ci sono momenti nella vita in cui non ci accorgiamo nemmeno di quanto possa essere pesante una frase lanciata con leggerezza. Una volta, ricordo, durante una discussione accesa, mi è scappato di dire a una persona a cui tenevo: “non sei capace di fare niente”. Non lo pensavo davvero, ma l’ho detto. Anni dopo, quella persona me lo ricordò con un dolore negli occhi che mi fece comprendere fino in fondo: le parole restano, scavano, lasciano segni che non sempre sono visibili. E allora mi sono chiesta: quante ferite invisibili lasciamo dietro di noi, senza neppure rendercene conto?
La verità è che le parole non sono mai neutre. Possono aprire strade o costruire muri, possono accogliere o respingere, possono dare vita o ferire. Fermare subito la violenza delle parole non è solo un invito etico, ma una necessità urgente per il nostro vivere insieme.
Il potere delle parole
Tutti abbiamo sentito il detto “le parole sono pietre”. È una frase che forse ci sembra abusata, ma la sua forza non smette mai di essere attuale. Quante volte un commento negativo, magari ricevuto da piccoli, è rimasto impresso nella memoria fino all’età adulta? Una maestra che ci disse che non eravamo portati, un genitore che ci rimproverò con durezza, un amico che ci prese in giro. Piccole schegge che, sommate, diventano convinzioni profonde.
Non è un caso che anche nei social network si parli oggi di hate speech, il linguaggio d’odio. Perché le parole hanno il potere di creare una cultura, di orientare pensieri, di spostare equilibri. Se le parole sono tossiche, lo diventa anche il contesto in cui circolano.
La violenza invisibile
La violenza delle parole non lascia lividi sulla pelle, eppure può fare più male di un colpo. Il problema è che la società tende a minimizzare questa forma di aggressione, come se non fosse “reale”. Ma chiunque abbia subito insulti, umiliazioni o denigrazioni sa quanto possano logorare.
In una relazione di coppia, ad esempio, le frasi ripetute di svalutazione portano lentamente a convincersi di non valere. Sul lavoro, i commenti sprezzanti del capo minano l’autostima e generano paura. Tra amici, i soprannomi crudeli lasciano cicatrici emotive che si trascinano per anni. La violenza verbale è subdola perché non si vede, ma scava silenziosa.
Dove nasce la violenza verbale
Spesso la radice sta nella rabbia e nella frustrazione. Quando non troviamo le parole per esprimere il nostro disagio, allora esplodiamo con termini aggressivi. In famiglia, capita che la stanchezza porti a litigi in cui si dicono frasi che non si vorrebbero mai dire. Sul lavoro, la pressione diventa sfogo verbale. Online, l’anonimato sembra autorizzare chiunque a insultare.
Il contesto sociale peggiora la situazione. Viviamo immersi in una comunicazione veloce, frammentata, in cui le parole vengono lanciate senza pensarci. Nei commenti sui social, una battuta sarcastica può trasformarsi in un linciaggio verbale. E dietro a quello schermo, c’è sempre una persona reale che legge, che sente, che soffre.
La responsabilità individuale
Fermare la violenza delle parole significa assumerci la responsabilità del linguaggio che scegliamo ogni giorno. Non possiamo controllare come parlano gli altri, ma possiamo decidere come parlare noi. Significa imparare a fermarsi un attimo prima di rispondere di getto, chiedersi: “quello che sto per dire aiuterà o farà male?”
Certo, non è semplice. Ci vuole esercizio, come un allenamento quotidiano. Ma è un impegno che fa la differenza. E se iniziamo a farlo nelle nostre relazioni più vicine, come in famiglia o con gli amici, quel cambiamento si espanderà anche nella società.
Parole che curano
C’è però un lato meraviglioso del linguaggio che a volte dimentichiamo: le parole possono anche guarire. Un complimento sincero, un incoraggiamento dato al momento giusto, un “ti capisco” detto con cuore aperto, possono cambiare la giornata – e talvolta la vita – di chi li riceve.
Tutti ricordiamo almeno una frase che ci ha dato forza nei momenti difficili. Forse un insegnante che ci disse “ce la puoi fare”, un amico che ci sussurrò “non sei solo”, una persona cara che ci regalò un “ti voglio bene” quando ne avevamo più bisogno. Queste parole restano impresse come fari nella notte.
Riscoprire il dialogo autentico
Immaginiamo per un attimo come sarebbe se, nelle nostre conversazioni quotidiane, scegliessimo con cura le parole. Non significa censurarsi, ma imparare ad esprimersi senza ferire. Significa sostituire il giudizio con l’ascolto, l’ironia pungente con la comprensione, la critica sterile con un confronto costruttivo.
Le relazioni diventerebbero più leggere, i conflitti più gestibili, la convivenza più armoniosa. In un mondo in cui già tante cose ci dividono, riscoprire la forza di un dialogo rispettoso è forse la rivoluzione più grande che possiamo compiere.
Un impegno quotidiano
Fermare subito la violenza delle parole non è un obiettivo distante, ma una scelta possibile qui e ora. Significa cambiare il nostro modo di comunicare a partire dalle piccole cose: dire grazie più spesso, ascoltare davvero, evitare sarcasmi distruttivi, riconoscere l’altro come persona degna di rispetto.
È un lavoro che richiede presenza e consapevolezza, ma che regala in cambio relazioni più autentiche e una vita più serena. Se senti che le parole che ricevi o che usi ti fanno male, sappi che non sei sol*. Esistono spazi in cui puoi ritrovare ascolto e accoglienza, come il colloquio gratuito che metto a disposizione proprio per chi vuole iniziare a comunicare in modo diverso.
Se desideri approfondire o condividere la tua esperienza, puoi scrivermi attraverso la pagina contatti. Sul mio sito troverai altri spunti per un percorso di consapevolezza e crescita personale.
Fermare la violenza delle parole significa scegliere ogni giorno che tipo di mondo vogliamo costruire: uno in cui il linguaggio è arma, o uno in cui diventa ponte. Io ho scelto il secondo, e ti invito a fare lo stesso.