Beatrice Lencioni Counselor a Torino

Overwhelmed: come affrontare il sentirsi sommersi dalle cose da fare, dai pensieri, dalle emozioni

Beatrice Lencioni

Ciao,
non ti conosco, ma so che potresti aver bisogno di leggere queste righe.

Non so dove ti trovi in questo momento, se stai tornando a casa o sei ancora sedutǝ davanti a uno schermo con cento cose aperte, se hai appena discusso con qualcuno o se, invece, stai facendo finta che vada tutto bene perché non hai più voglia di spiegare niente a nessuno. Ma so — o almeno intuisco — che potresti sentirti sopraffattǝ.

Sì, “overwhelmed”, quella parola inglese che descrive perfettamente la sensazione di quando tutto diventa troppo. Troppo da fare. Troppo da sentire. Troppo da tenere dentro. E quella sensazione ha un modo tutto suo di insinuarsi: ti accorgi che c’è, ma non riesci a dargli un nome preciso in italiano. È un impasto di stanchezza, confusione, irritazione, silenzio e… voglia di scappare. O forse solo di fermarti un attimo, ma senza sapere come si fa.

Se sei qui a leggere, magari anche tu hai avuto giornate in cui l’unica cosa che volevi era spegnere tutto. Quelle giornate in cui ti svegli già stanchǝ, in cui ogni messaggio da rispondere pesa più di quanto dovrebbe, in cui il cuore batte forte senza una ragione apparente. Quelle giornate in cui tutto ti chiede di essere presente, ma tu vorresti solo sparire. Solo un po’. Solo per respirare.

Lo capisco. Più di quanto tu possa immaginare.

La cosa strana è che a volte ci sentiamo così anche quando non c’è un evento drammatico a giustificarlo. Nessun terremoto nella vita, nessuna crisi evidente. Ma dentro, qualcosa scricchiola. Ti senti come se stessi reggendo un peso invisibile. Come se fossi tu a tenere in piedi le cose, ma nessuno lo sapesse. E forse neanche tu ti sei datǝ il permesso di riconoscerlo.

Sai cosa ho imparato negli anni, lavorando a fianco di tante persone che hanno avuto il coraggio di fermarsi un attimo e parlare? Che spesso non è lo stress in sé a farci crollare, ma il fatto che pensiamo di dover affrontare tutto da solǝ. Come se chiedere aiuto fosse un fallimento. Come se rallentare significasse “mollare”.

Ma io non credo sia così. Credo che rallentare sia un atto di immensa lucidità. E chiedere aiuto, un atto di grande responsabilità verso se stessǝ.

Spesso si pensa che chiedere aiuto significhi voler una soluzione pronta, qualcuno che ti dica cosa fare. Ma non è questo che faccio. Io non ti dico cosa devi fare. Non ho ricette, né bacchette magiche. E non ho diagnosi da offrirti.

Il mio lavoro è un altro. Io ascolto.
Ascolto senza giudicare.
Ascolto con tutto il tempo che serve, e con il rispetto di chi sa che ogni storia è diversa.
E insieme, proviamo a dare un senso a quel groviglio che senti dentro.

Si chiama counseling, ma capisco se è una parola che ti suona strana o generica. Forse non l’hai mai sentita nominare, o l’hai confusa con qualcos’altro.
Il counseling è un percorso di consapevolezza, che parte dal tuo vissuto, dai tuoi pensieri, dai tuoi limiti e dai tuoi desideri. È uno spazio che ti appartiene, dove non c’è bisogno di essere “forti” o “perfettǝ”. È un dialogo paritario. Io non sono “più avanti” di te. Non sono qui per aggiustarti. Ma per camminarti accanto, mentre impari a ritrovare il tuo centro.

E sai qual è la cosa più sorprendente? Che a volte basta anche solo una prima conversazione, un colloquio, per iniziare a sentire qualcosa muoversi dentro. Non per forza una svolta epica. Ma un sollievo. Un respiro. Un piccolo spazio in cui non devi dimostrare niente.

Se vuoi, puoi iniziare da questo colloquio gratuito. È un incontro online, dura circa 45 minuti, e serve solo a capire se ti senti accoltǝ, se ti senti ascoltatǝ, se questa strada può fare al caso tuo. Non c’è impegno. Non ci sono aspettative. Solo un tempo dedicato a te.

Se vuoi saperne di più su di me, sul modo in cui lavoro, su cosa puoi aspettarti, ti lascio anche questa pagina. E se vuoi scrivermi direttamente, puoi usare questo contatto. Sarò felice di leggere le tue parole.

Torno per un attimo a quel termine: “overwhelmed”.

Mi piace pensare che non sia solo una condizione negativa.
Che dietro quel sentirsi sopraffattǝ si nasconda anche una grande sensibilità.
Che chi si sente “troppo” ha spesso dentro un mondo ricco, complesso, pieno di connessioni.
Solo che nessuno gli ha mai insegnato a dosare le energie, a scegliere le priorità, a concedersi il diritto di non reggere tutto.

Se sei stancǝ, se senti che sei al limite, non vuol dire che sei debole.
Vuol dire che hai retto troppo, troppo a lungo.
E che forse è ora di scegliere di alleggerirti.

Ti saluto con una frase che tengo sempre con me:

“Non sei venutǝ al mondo per resistere. Sei venutǝ per vivere.”

Se in questo momento ti senti invischiatǝ, bloccato, sfinito…
Sappi che puoi risalire.
Magari non da solǝ.
Ma con qualcuno che sappia stare. Senza giudicare. Con presenza.

Io sono qui, se vuoi.

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