Perché le offese pesano più dei complimenti nella mente
Beatrice LencioniCondividi
TL;DR
Le offese restano più impresse dei complimenti perché il cervello è programmato per individuare i pericoli prima delle cose piacevoli. Una critica attiva una forte risposta di stress e viene “incisa” nella memoria, mentre un complimento scivola via più facilmente. Non è colpa tua né sensibilità esagerata: è un meccanismo di sopravvivenza che però, oggi, può diventare fonte di sofferenza. La buona notizia è che puoi allenarti a dare più spazio alle parole gentili, imparando a ricevere i complimenti e a ridimensionare le frasi che feriscono.
Perché le offese restano più impresse dei complimenti
Quante volte ti è successo: ricevi una giornata piena di feedback positivi, piccoli apprezzamenti, sguardi gentili… e poi arriva quella frase storta, una sola, che cancella tutto il resto.
Magari qualcuno ti dice:
“Bravo, però potevi impegnarti di più”,
oppure
“Ti voglio bene, ma a volte sei davvero pesante”.
E tu?
Non ti ricordi più i complimenti ricevuti durante la settimana.
Ricordi solo quella frase. Ci ripensi la sera a letto, il giorno dopo sotto la doccia, magari anche anni dopo, in una situazione simile.
Non è perché sei “troppo sensibile”.
Non è perché “dovresti fregartene”.
È, prima di tutto, biologia.
Il compito del cervello non è renderti felice ma proteggerti
Il cervello non è nato per farti sentire sereno e leggero.
Il suo compito primario è tenerti in vita.
Per questo è programmato per accorgersi prima di ciò che è pericoloso, spiacevole, minaccioso, rispetto a ciò che è bello e gratificante. È come se avesse un radar interno che chiede continuamente:
“Qui c’è qualcosa che potrebbe farmi male?”
Le parole offensive, le critiche, i giudizi duri vengono lette come possibile minaccia: al tuo valore, al tuo senso di appartenenza, alla possibilità di essere amato.
Quando vieni criticato:
- il corpo si attiva, il respiro cambia, il cuore accelera anche di poco;
- si accende la risposta di stress (anche se non vedi nessun leone nella savana);
- il cervello apre un “file di emergenza” e registra l’episodio con cura.
Il risultato?
Quell’esperienza si incide nella memoria molto più a fondo di un complimento.
Un apprezzamento ti fa piacere, certo, ma non accende gli stessi circuiti di allarme. È come una carezza che scalda, ma non “buca” la memoria nello stesso modo.
Quando una frase diventa una ferita che si riapre
Forse nella tua storia c’è una frase che porti addosso da anni.
Una frase detta da un genitore, un partner, un insegnante:
- “Non combinerai mai niente.”
- “Sei sempre troppo.”
- “Sei sempre troppo poco.”
- “Con te è sempre complicato.”
Quella frase, detta magari in un momento di nervosismo, per il tuo cervello non è stata solo una sequenza di parole. È stata:
- un colpo al senso di valore;
- un possibile pericolo di rifiuto;
- una minaccia alla tua sicurezza emotiva.
E allora l’ha memorizzata con cura, collegandola ad altre esperienze simili.
Ogni volta che qualcosa la ricorda – un tono di voce, una situazione, un’espressione – è come se la ferita si riaprisse.
Intanto i complimenti che ricevi… arrivano, ti fanno piacere, ma non trovano lo stesso spazio. È come se bussassero alla porta di casa tua e il cervello rispondesse:
“Scusa, al momento sono occupato a controllare che nessuno mi ferisca di nuovo.”
Perché fai più fatica a credere ai complimenti
C’è un altro aspetto importante: le storie che ti racconti su di te.
Se dentro di te hai interiorizzato l’idea di valere poco, di essere “sbagliato” o di dover sempre dimostrare qualcosa, i complimenti entrano in conflitto con quella narrazione interna.
Quando qualcuno ti dice:
- “Sei stato davvero bravo.”
- “Con te mi sento bene.”
- “Mi piaci così come sei.”
può succedere questo:
- La mente minimale: “Sì, ma lo dice per gentilezza.”
- Il sospetto: “Non può essere vero, non mi vede davvero.”
- Il ridimensionamento: “Vabbè, è stato un colpo di fortuna, non sono sempre così.”
Insomma, il complimento arriva alla porta, ma il “portiere interno” lo manda via, mentre lascia entrare senza controlli qualsiasi critica. Così la bilancia si sbilancia sempre più verso il negativo.
Non è colpa tua.
È il risultato di tante esperienze passate, parole ascoltate da bambino, relazioni in cui forse hai dovuto meritarti l’affetto.
L’effetto delle critiche nelle relazioni affettive
Nelle relazioni importanti – di coppia, familiari, di amicizia – tutto questo pesa ancora di più.
Se il partner, un genitore o un amico ha un modo frequente di sottolineare difetti, limiti, errori, anche con ironia, il tuo cervello registra un ambiente poco sicuro. Magari non lo definiresti così, ma il corpo lo sa:
- ti irrigidisci quando quella persona entra in stanza;
- misuri le parole;
- ti autocensuri;
- controlli mille volte di non “sbagliare”.
Nel frattempo, i momenti belli, le giornate serene, i sorrisi condivisi… diventano sfondi. Ci sono, ma non fanno da colonna portante.
Può succedere anche il contrario: magari tu stesso, senza volerlo, hai imparato a comunicare così.
- Parti dalle critiche “per aiutare”.
- Usi spesso frasi come “sì però…”, “non è per criticare ma…”.
- Ti sembra ovvio che l’altro “dia per scontato” il bene che provi.
Ma il cervello dell’altro funzionerà esattamente come il tuo: ricorderà prima ciò che fa male, dopo ciò che scalda il cuore.
Non sei esagerato è il tuo sistema di allarme
Vorrei che ti fosse chiaro un punto:
il fatto che una frase ti abbia ferito non significa che sei debole.
Significa che:
- per te il legame con quella persona è importante;
- dentro di te quella parola ha toccato qualcosa di antico;
- il tuo sistema di protezione emotiva è molto vigile.
Pensaci: se ti insultasse uno sconosciuto incontrato una volta, probabilmente ci rimarresti male per un attimo, poi la cosa scivolerebbe via.
Se la stessa frase arriva da qualcuno che ami, la ferita è un’altra.
Perché?
Perché nella tua mente è in gioco la paura di non essere più amato.
Sapere questo è già un primo passo: ti aiuta a smettere di giudicarti (“sono troppo sensibile”, “dovrei essere più forte”) e a vedere che stai solo reagendo a qualcosa che per te conta davvero.
Come allenare la mente a ridimensionare le offese
Non possiamo spegnere il funzionamento del cervello.
Possiamo però allenarlo.
Non si tratta di “pensare positivo a tutti i costi”, ma di dare alle parole gentili lo spazio che meritano, e alle offese il posto giusto: importanti, sì, ma non padrone di casa.
Ecco alcuni passaggi possibili (da prendere come spunti, non come obblighi).
1. Dare un nome a quello che senti
Quando una frase ti resta incollata addosso, invece di ripeterla nella mente come un disco rotto, prova a chiederti:
- “Che cosa mi ha fatto male, esattamente?”
- “Qual è la paura nascosta dietro questa ferita?”
Spesso scopri che non è solo la frase in sé, ma ciò che ti racconti a partire da quella frase:
“Non valgo”, “non merito amore”, “non sono abbastanza”.
Dare un nome alle emozioni toglie loro un po’ del potere di travolgerti.
2. Mettere la frase nel suo contesto
Chi te l’ha detta? In che momento? Con quale stato d’animo?
A volte una frase durissima è stata detta da qualcuno che, in quel momento, era a sua volta sopraffatto, arrabbiato, spaventato. Questo non giustifica, ma ridimensiona.
Chiederti: “Cosa stava succedendo davvero?” ti aiuta a non trasformare quella frase in una verità assoluta su di te.
3. Creare un “archivio dei complimenti”
Può sembrare banale, ma è un esercizio potente.
Scrivi o annota da qualche parte alcuni complimenti che hai ricevuto e che senti veri:
- “Mi sento tranquillo quando parlo con te.”
- “Sei una persona affidabile.”
- “Mi fai sentire visto/ascoltato.”
Quando la mente torna a girare intorno all’offesa, prova – anche se all’inizio ti sembrerà forzato – a ricordare almeno uno di quei complimenti. Non per negare la ferita, ma per non lasciare che sia l’unica voce.
È un modo per dire al cervello:
“Capisco che vuoi proteggermi, ma c’è anche altro da vedere.”
Imparare a ricevere davvero i complimenti
Ricevere un complimento non significa solo rispondere “grazie”.
Significa lasciarlo entrare.
Se ti accorgi che tendi a sminuire sempre (“ma no, figurati”, “è nulla”):
- prova a fare un piccolo esperimento: la prossima volta, respira e rispondi solo “grazie, mi fa piacere che tu me lo dica”;
- osserva come ti senti nel corpo: imbarazzo, calore, commozione… qualunque cosa ci sia, va bene.
Lascia che quelle parole restino con te almeno qualche minuto, senza attaccarle subito con un pensiero critico. È una ginnastica nuova:
allenare il cervello a non percepire il bene come sospetto
e il rispetto come qualcosa che “non ti spetta”.
Nel tempo, i complimenti possono iniziare a costruire dentro di te una base diversa: più solida, più gentile, più tua.
Quando le vecchie frasi non smettono di farti male
Ci sono casi in cui le offese ricevute – soprattutto nell’infanzia o in relazioni importanti – non sono semplici episodi, ma veri e propri mattoni con cui hai costruito l’immagine di te.
Frasi ripetute da un genitore, da un ex partner, da un insegnante:
- “Non sei capace.”
- “Nessuno ti vorrà mai così.”
- “Sei una delusione.”
Possono diventare il sottofondo costante del tuo dialogo interiore. Anche quando fuori dalla tua vita quelle persone non ci sono più, dentro di te continua a vivere la loro voce.
In questi casi, lavorare da solo può essere faticoso e frustrante.
È proprio qui che un percorso di counseling può sostenerti:
- ti aiuta a riconoscere quali frasi ti abitano ancora;
- ti permette di dare spazio alle emozioni bloccate;
- ti accompagna a costruire un nuovo modo di parlarti, più rispettoso e meno violento.
Se ti riconosci in questo, sappi che non sei “esagerato”, non sei “difettoso”: stai solo portando addosso pesi che, forse, da solo è difficile appoggiare a terra.
Un invito alla gentilezza verso se stessi e gli altri
Sì, è vero: un commento duro può ripetersi nella testa per anni, mentre molte lodi svaniscono in poche settimane. Questo non è un difetto caratteriale, è un tratto umano.
Proprio perché lo sappiamo, abbiamo una responsabilità:
- nelle parole che rivolgiamo agli altri;
- in come parliamo a noi stessi.
Puoi cominciare da gesti minuscoli:
- notare quando stai per fare un’osservazione critica e chiederti se puoi formularla in modo più rispettoso;
- scegliere, ogni tanto, di dire ad alta voce un complimento che ti viene in mente su qualcuno, invece di tenerlo per te;
- smettere di ripeterti internamente frasi che non ti appartengono più, provando – anche se sembra strano – a sostituirle con parole più oneste e gentili.
Non si tratta di negare il dolore delle offese, ma di non lasciare che abbiano l’ultima parola.
Se senti che tutto questo ti risuona
Se leggendo ti sei accorto che hai frasi che ti girano in testa da anni, che ti fanno sentire “meno” e che cancellano rapidamente i complimenti, forse è il momento di non restare da solo con tutto questo.
Nel mio lavoro di counselor relazionale a Torino accompagno molte persone proprio su questi temi: il peso delle parole ricevute, la difficoltà a credere di valere, il bisogno di relazioni più rispettose – a partire da quella con se stessi.
Se vuoi, puoi:
- dare uno sguardo al sito principale per capire meglio chi sono e come lavoro: beatricelencioni.it
- contattarmi senza impegno dalla pagina dedicata: pagina contatti
- oppure prenotare un colloquio online gratuito per raccontarmi la tua situazione e capire insieme se un percorso può esserti utile.
Non posso cancellare le frasi che ti hanno ferito, ma posso offrirti uno spazio in cui ricominciare a parlare a te stesso in un modo nuovo, in cui i complimenti non siano più ospiti di passaggio e le offese non dettino più le regole della tua vita interiore.