L'Ultima Volta che Ho Desiderato un Corpo Diverso
Beatrice LencioniCondividi
Una storia di specchi, armadi pieni, insalate giudicate e della pace che si fa, finalmente, con se stessi.
Comincia sempre così, non è vero? Un pensiero silenzioso che si fa strada nella mente e mette tutto in discussione. L'ultima volta che hai pensato, “se fossi più magra, forse…” e hai lasciato quella frase sospesa a mezz'aria, carica di tutti i sogni che credi di non meritare ancora. Un "forse" che ci condanna a vivere in un'eterna sala d'attesa, aspettando un corpo diverso per iniziare finalmente a vivere.
E questa prigione non è fatta solo di pensieri. Si costruisce con le parole degli altri, a volte anche quelle di chi ci vuole bene. Ricordo perfettamente quella volta al ristorante con Lorenza. Io ordinai un'insalata con il pollo, semplicemente perché ne avevo voglia. Lei, davanti al suo panino, mi guardò con finta comprensione e disse: “Beh, capisco... se ti mangiassi un panino come il mio potresti sentirti più osservata e giudicata”. In quel momento fu lei a giudicarmi, proiettando su di me una paura che non era mia. La mia scelta era stata letta non come un desiderio, ma come una rinuncia dettata dalla vergogna del mio corpo.
È così che funziona. Il mondo ci guarda attraverso il filtro delle nostre forme e presume di sapere tutto di noi: cosa dovremmo o non dovremmo mangiare, fare, essere.
Questo giudizio esterno si insinua dentro, e la battaglia più dura diventa quella con la nostra immagine riflessa. Quella foto che ti hanno scattato a tradimento durante una cena. Eri felice, stavi ridendo di gusto, ma quando la vedi il tuo sguardo non cade sul sorriso, ma su un dettaglio che diventa un'ossessione: "peccato per le braccia," pensi, e con tre parole cancelli la gioia di quel ricordo. E allora, con un clic, quella foto sparisce.
Questa lotta prosegue ogni mattina, davanti all'armadio. Lo apri ed è un'esplosione di tessuti e colori, eppure il sentimento è uno solo, sordo e frustrante: “non ho niente da mettere.” È la cruda realtà di abiti che non ci rappresentano più, di outfit che stringono e tirano, ricordandoti tutti i modi in cui senti di essere ‘sbagliata’. Il rituale di cambiarsi dieci volte prima di uscire è estenuante, una lotta che ti prosciuga le energie prima ancora di aver varcato la soglia di casa.
E una volta fuori? Il mondo a volte non è solo un percorso a ostacoli, ma una vera e propria arena. L'ansia di occupare troppo spazio diventa terrore quando la maleducazione si fa esplicita. Non potrò mai dimenticare le volte in cui, mentre correvo al parco, sentivo delle persone incitarmi a dimagrire, come se il mio corpo in movimento fosse un affare pubblico. O quel tizio che mi fermò, con aria grave, per dirmi che correndo mi sarei fatta male, ovviamente sottintendendo "con quel peso".
Ma l'episodio più crudele avvenne alla mostra di Botero. Ero lì per ammirare l'arte, la celebrazione delle forme morbide. Un uomo, invece di guardare i quadri, puntò il telefono verso di me e mi fotografò, ridendo con i suoi amici della somiglianza tra le mie forme e quelle dipinte. In quell'istante, non ero più una persona, ma un'opera da deridere, un oggetto. È una sensazione di umiliazione che ti gela dentro e che ti fa desiderare di diventare invisibile. È in momenti come quelli che, a volte, hai preferito non andare a quella festa, pur di non sentirti di nuovo così.
Ma cosa succederebbe se decidessimo che quella è stata davvero l'ultima volta? L'ultima volta che abbiamo permesso alle parole o agli sguardi di qualcun altro di definire il nostro valore?
La mia liberazione non è arrivata quando il mio corpo è cambiato, ma quando ho cambiato il modo di abitarlo. Ho smesso di aspettare di amare ogni curva e ho iniziato semplicemente a rispettarla. Ho iniziato a pensare al mio corpo non per come appariva, ma per quello che mi permetteva di fare: correre (nonostante i commenti), abbracciare, ballare, vivere.
La vera libertà non è entrare nel vestito. È creare una vita che ti vesta a pennello.
Ho affrontato il mio armadio, non con giudizio, ma con gentilezza, facendo spazio solo a ciò che mi faceva sentire me stessa, adesso. Ho capito che il mio corpo non era il problema; il problema era il mondo che non era pronto per lui.
So che questo percorso può sembrare difficile da intraprendere da sole. Anni di pensieri negativi e di esperienze dolorose hanno radici profonde. A volte, avere una guida può cambiare tutto. Riconoscere di aver bisogno di una mano è un atto di immenso coraggio. Se senti che è il momento di riscrivere la tua storia, ti offro la possibilità di parlarne insieme: puoi prenotare un colloquio online gratuito per esplorare un percorso fatto su misura per te.
Ricorda, non sei sola. Ogni volta che scegli di goderti la tua insalata, di correre al parco, di ammirare l'arte sentendoti parte di essa e non un'imitazione, stai compiendo un atto rivoluzionario. Stai trasformando "l'ultima volta" nella tua meravigliosa "prima volta".