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Longevità e pace interiore: il vero segreto per vivere a lungo

Beatrice Lencioni

TL;DR – In due respiri

La longevità non è un premio per chi si allena di più o mangia “perfetto”, ma il risultato di una vita in cui ti senti in pace con te stessə, sostenutə da relazioni nutrienti e da un ritmo più umano. In questo articolo ti accompagno, come counselor relazionale, dentro un viaggio narrativo: dalla scoperta delle zone blu del mondo alla costruzione della tua zona blu interiore, qui e ora, anche se ti senti stancə o in ritardo con la tua vita.

Una sera in Sardegna: quando la longevità ha il volto di una donna


Ricordo una sera in Sardegna, in un piccolo paese dell’interno. Ero seduta su una panchina di pietra, l’aria profumava di mirto e di cena che sobbolliva nelle cucine. Accanto a me, una signora dai capelli completamente bianchi stava piegando con calma un fazzoletto di stoffa. Aveva più di novant’anni, ma gli occhi erano vivi come quelli di una ragazzina.

Le chiesi, quasi per scherzo:
«Ma qual è il vostro segreto per vivere così a lungo?»

Si mise a ridere, di quella risata piena che scuote le spalle.
«Segreto? Non c’è nessun segreto. Mangiamo, lavoriamo, ci arrabbiamo, ci vogliamo bene… E poi, ogni sera, guardo il cielo e dico grazie. Anche quando la giornata è stata pesante.»

Non mi ha parlato di diete miracolose, di integratori speciali, di allenamenti studiati al millimetro. Mi ha parlato di una cosa molto più semplice e, allo stesso tempo, rarissima: un modo di stare al mondo che non è in guerra con se stesso.

Quella sera ho pensato che forse la vera longevità è tutta lì: nel riuscire a restare sufficientemente in pace con la vita, anche quando non è perfetta.

Non è la dieta perfetta: è smettere di vivere controcorrente

Quando si pronuncia la parola “longevità”, molti immaginano subito una lista di cose da fare: niente zuccheri, palestra tre volte a settimana, meditazione ogni giorno, diecimila passi, bicchieri d’acqua contati. Sembra quasi un lavoro a tempo pieno.

Ma se guardiamo alle zone blu – Okinawa, Sardegna, Nicoya, Icaria, Loma Linda – la storia che emerge è un po’ diversa: lì le persone non vivono ossessionate dall’idea di “vivere a lungo”. Vivono e basta.

Non si violentano per entrare nel modello perfetto, non inseguono ogni moda del benessere, non passano la giornata a rimproverarsi per quello che non hanno fatto. Il loro corpo è inserito in una trama di significato: relazioni, rituali, natura, appartenenza.

Quello che li accomuna non è la perfezione, ma un minore grado di conflitto interno. Non passano tutta la vita a correggersi, giudicarsi, rincorrersi. E questo, paradossalmente, li aiuta a restare vivi più a lungo.

La piccola guerra silenziosa dentro di te

Nella stanza di counseling a Torino, spesso vedo il contrario: persone che, all’esterno, “fanno tutto giusto”. Mangiano bene, si muovono, leggono libri di crescita personale, seguono mille consigli. Ma dentro sono stremate.

La loro vita è una continua rincorsa:

a un ideale di sé impossibile da raggiungere;
a relazioni che chiedono di essere sempre forti, disponibili, senza mai un cedimento;
a un lavoro che li fa sentire utili ma li prosciuga, senza spazi per respirare.

La sera, quando finalmente si fermano, arriva quella sensazione sorda di non essere mai abbastanza: non abbastanza bravi, non abbastanza in forma, non abbastanza produttivi, non abbastanza “evoluti”.

Questo è uno dei peggiori nemici della longevità: uno stress sottile e cronico che nasce ogni volta che la tua vita reale non assomiglia a ciò che sei davvero, ma a ciò che pensi di dover essere per meritarti amore, stima, appartenenza.

La pace interiore comincia proprio qui: quando smetti di correre contro te stessə e inizi ad ascoltare la stanchezza come una voce, non come un difetto.

Una storia di corpo stanco e cuore in apnea

Penso a una persona che ho incontrato in studio (la chiamerò Marta, nome di fantasia). Marta arrivava con un sorriso educato e delle occhiaie profonde. Mangiare sano, palestra, lavoro stabile, relazione di coppia “senza problemi evidenti”. Eppure, ogni mattina, la frase che ripeteva dentro di sé era: “Non ce la faccio più”.

Nel nostro lavoro insieme è emerso che il suo corpo non era stanco per mancanza di vitamine o per un “difetto” fisico. Era stanco perché da anni portava addosso:

una relazione in cui non poteva mai mostrarsi fragile;
un ruolo professionale in cui doveva essere sempre la persona che sistema i casini degli altri;
un’educazione che le aveva insegnato che chiedere aiuto è segno di debolezza.

Marta non viveva nel presente; viveva in uno sforzo continuo di non deludere nessuno.

La svolta non è stata quando ha trovato la dieta più adatta o l’integratore perfetto. È arrivata quando ha cominciato a riconoscere quanto fosse costoso tradire se stessa ogni giorno.

Da lì, passo dopo passo, ha iniziato a dire qualche “no” in più, a concedersi serate senza sensi di colpa, a cercare relazioni in cui essere ascoltata davvero. Il corpo, piano piano, ha iniziato a respirare meglio. Non era magia: era pace interiore che ricominciava a farsi spazio.

Relazioni che ti fanno respirare, non solo resistere

Nelle zone blu, le persone anziane raramente sono sole. C’è sempre qualcuno che passa, bussa, porta un piatto di qualcosa, chiede come va. La vecchiaia non è un problema individuale da gestire, ma una fase della vita che riguarda la comunità.

Al contrario, una delle fatiche più grandi che vedo nel mio lavoro è questa: una solitudine popolata. Tanti contatti, tanti messaggi, tante chat, ma pochissime relazioni in cui ci si possa mostrare senza maschere.

Ci sono persone che arrivano da me convinte di essere “troppo sensibili” solo perché, in fondo, desiderano legami in cui non debbano farsi piccoli per farsi volere bene. Il loro corpo è teso, il sonno fragile, il cuore diffidente. Non perché siano sbagliate, ma perché per anni hanno respirato aria emotiva povera, fatta di critiche, silenzi, indifferenza, ironia pungente, mansioni infinite.

La longevità vera non è vivere cento anni incastratə in relazioni che ti tolgono ossigeno. È costruire, un passo alla volta, legami che ti fanno sentire a casa, non sotto esame.

Nel counseling lavoriamo spesso proprio qui: nel riconoscere quali rapporti ti nutrono e quali ti esauriscono, nel dare un nome alle dinamiche che ti fanno male, nel trovare il coraggio di mettere confini. Non si tratta di “buttare via” le persone, ma di riposizionarti in modo più giusto per te, così che la tua energia non venga prosciugata ogni giorno.

Il ritmo del corpo: un orologio che sa la verità

Se ci pensi, il corpo non mente mai. Quando sei in pace, lo senti: respiri più profondi, spalle più morbide, stomaco meno contratto. Quando invece tradisci te stessə, il corpo protesta.

Il problema è che spesso parliamo una lingua diversa da quella del corpo. Il corpo dice: “Sono stanco”. E la mente risponde: “Devi resistere”. Il corpo dice: “Ho bisogno di piangere”. E la mente risponde: “Non farti vedere così”. Il corpo dice: “Questa relazione mi pesa”. E la mente risponde: “Non esagerare, è colpa tua”.

Nelle zone blu, il tempo del corpo è ancora intrecciato al tempo della natura: ci si alza, si mangia, si riposa seguendo ritmi più ciclici, meno meccanici. Nella nostra vita moderna, invece, chiediamo al corpo di essere una macchina: produttiva, efficiente, sempre accesa.

Riscoprire il ritmo del corpo non significa abbandonare tutto e andare a vivere in campagna. Significa iniziare a trattare il tuo corpo come un soggetto da ascoltare, non come un oggetto da usare.

Questo può voler dire concederti il sonno di cui hai davvero bisogno, non quello che “avanza”; rispettare la fame e la sazietà invece di riempire ogni vuoto emotivo con cibo o schermi; usare il respiro come ponte per tornare a te quando senti che stai andando in tilt.

Nel mio approccio integro spesso pratiche di ascolto del corpo, meditazione dolce, mindfulness: non per trasformarti in un monaco zen, ma per ricucire un rapporto più tenero con te stessə. Se ti va di sbirciare di più sul mio modo di lavorare, puoi partire dalla home del mio sito beatricelencioni.it.

La paura di essere in ritardo con la vita

C’è una frase che sento spesso: «Se avessi iniziato prima…» «Alla mia età ormai…» «È tardi per cambiare».

È curioso: da una parte idealizziamo la longevità, dall’altra ci sentiamo vecchi dentro già a trent’anni, quaranta, cinquanta. Come se ci fosse una scadenza invisibile oltre la quale non è più consentito cambiare, iniziare qualcosa di nuovo, prendersi più cura di sé.

La verità è che non è mai il calendario a decidere se è possibile o no prendersi cura della propria pace interiore. Quello che cambia con l’età non è la possibilità, ma spesso la paura: paura di deludere gli altri se cambi, paura di perdere ciò che hai costruito, paura di scoprire che non ti conosci così bene come pensavi.

Eppure, la longevità che conta non è quella scritta sulla carta d’identità, ma quella che senti nelle giornate che vivi: quanto sono “vivi” i tuoi giorni? Quanta libertà c’è nel modo in cui decidi per te? Quanto spazio lasci alle emozioni, ai bisogni, alle pause?

Ogni volta che inizi ad ascoltarti un po’ di più, stai già cambiando la qualità del tempo che ti resta, qualsiasi età tu abbia.

Piccoli gesti per creare la tua zona blu interiore

Immagina di poter disegnare sulla mappa un luogo in cui ti senti davvero a casa. Non un posto fisico, ma un modo di vivere. Come sarebbe?

Magari ci sarebbe meno rumore di doveri e più spazio per ciò che ti nutre davvero; almeno una persona con cui puoi parlare senza filtri; una relazione più gentile con il tuo corpo; un lavoro che non ti definisce completamente, ma non ti consuma.

Questa è la tua zona blu interiore. Non nasce in un weekend intensivo, né con una sola decisione eroica. Nasce da tanti, piccoli, minuscoli gesti ripetuti nel tempo.

Qualche esempio concreto: decidere che ogni sera, invece di controllare il cellulare fino allo stremo, ti regali dieci minuti in cui ti chiedi sinceramente: “Come sto davvero?”; concederti un “no” dove fino a ieri avresti detto “va bene, ci penso io”, solo per paura di deludere; mangiare un pasto con calma, senza schermi, ascoltando sapore, fame, sazietà; mandare un messaggio a quella persona con cui ti senti bene, dicendole: “Mi fa bene parlare con te”.

Sono gesti semplici, quasi banali, ma è così che inizia ogni rivoluzione gentile: non con i fuochi d’artificio, ma con una serie di scelte piccole e coerenti, fatte in direzione di te stessə.

Quando da solə non basta: il coraggio di farsi accompagnare

Ci sono momenti in cui, anche volendo, da soli non ce la si fa. Non perché sei debole o incapace, ma perché la matassa è così ingarbugliata che diventa difficile anche solo capire da dove cominciare.

A volte vedi solo sintomi: stanchezza, ansia, irritabilità, insonnia, voglia di sparire o di mollare tutto. Senti che il corpo ti sta parlando, ma non capisci la lingua.

In questi momenti, chiedere aiuto può essere uno dei gesti più profondi di amore verso di te. Un percorso di counseling non ti cambia la vita con una bacchetta magica, ma ti offre uno spazio dove non devi recitare nessun ruolo, una relazione in cui puoi esplorare le tue emozioni senza essere giudicatə, strumenti concreti per prenderti cura di te in modo più rispettoso.

Se senti che quello che hai letto fin qui tocca corde delicate, puoi contattarmi dalla pagina contatti per raccontarmi cosa stai attraversando e capire insieme se è il momento giusto per iniziare un percorso.

Se preferisci un passo ancora più leggero, puoi richiedere un colloquio online gratuito: uno spazio protetto per conoscerci, fare domande e sentire se il mio modo di lavorare risuona con te.

Vivere a lungo non è correre contro il tempo: è tornare a casa in te

Quando penso alla longevità, ormai non immagino più torte con cento candeline. Immagino quei momenti in cui una persona mi dice, in studio: «Da qualche settimana mi accorgo che respiro meglio». «Non è cambiato tutto, ma io sono diversa nel modo in cui sto nelle cose». «Per la prima volta dopo anni, sento di non essere più contro di me».

Questa, per me, è pace interiore. E ogni volta che nasce un po’ di pace dentro, la vita si allunga non solo in anni, ma in profondità.

Le zone blu del mondo ci ricordano che si può vivere a lungo senza conoscere tutte le mode del benessere, purché non ci si dimentichi di tre cose: trattare se stessi con un minimo di gentilezza; scegliere relazioni in cui ci si può mostrare senza maschere; rispettare il ritmo del corpo come un maestro paziente, non come un ostacolo.

Non è una ricetta, non è una formula. È un cammino. E puoi iniziare oggi, con un gesto piccolissimo: scegliere di ascoltarti un po’ di più rispetto a ieri.

Domande frequenti su longevità e pace interiore

La pace interiore può davvero influire sulla longevità?

La pace interiore non è un farmaco, ma incide sul modo in cui il corpo vive lo stress quotidiano. Quando ti tratti come un nemico, il corpo resta costantemente in allerta; quando impari a ascoltarti e a metterti meno pressione, il sistema nervoso respira di più e questo, nel lungo periodo, favorisce una migliore qualità di vita e, spesso, anche una maggiore durata.

Se ho vissuto anni in guerra con me stessə, ha senso iniziare ora?

Sì. Anche se guardi indietro e vedi solo fatica, giudizio e tensione, ha senso iniziare ora a costruire un rapporto diverso con te stessə. La longevità interiore non guarda agli “errori” che hai fatto, ma ai passi che decidi di fare da questo momento in poi.

Devo cambiare tutta la mia vita per trovare più pace?

No. Spesso le rivoluzioni più profonde iniziano da cambiamenti piccoli ma coerenti: imparare a fermarti prima di dire sempre sì, chiedere aiuto invece di caricarti tutto sulle spalle, concederti spazi di riposo senza giustificarti. Non serve stravolgere tutto: serve procedere per passi sostenibili.

Come faccio a capire se un percorso di counseling può aiutarmi?

Di solito è un buon momento per iniziare quando senti di essere stancə di ripetere sempre gli stessi schemi, o quando le strategie che usavi per “tenere botta” non funzionano più. Se avverti un desiderio, anche piccolo, di vivere in modo più autentico e meno in conflitto con te stessə, un percorso può offrirti una bussola e una presenza con cui esplorare questa trasformazione.

Posso iniziare a prendermi cura della pace interiore anche se vivo in una città frenetica come Torino?

Assolutamente sì. Non è il paesaggio esterno a decidere quanto puoi essere in pace, ma il modo in cui scegli di abitare le tue giornate. Anche in città puoi creare piccoli rituali di lentezza: una passeggiata consapevole, un caffè bevuto in silenzio, qualche minuto di respiro prima di dormire, confini più chiari tra lavoro e vita privata. Sono semi di zona blu che puoi piantare ovunque.

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