Cherofobia | Beatrice Lencioni Counselor

Perché la felicità ti fa paura? La Cherofobia spiegata con delicatezza

Beatrice Lencioni

Ti sei mai chiesto perché, proprio quando stai bene, una parte di te comincia a sentire una strana inquietudine? È come se dentro di te si accendesse un piccolo allarme che ti dice: “Attento, non lasciarti andare troppo, perché prima o poi qualcosa andrà storto”. Se ti riconosci in questa sensazione, potresti aver incontrato senza saperlo un fenomeno che ha un nome preciso: Cherofobia, ovvero la paura di essere felici.

A volte basta una risata improvvisa, una giornata di sole, una notizia che riempie di gioia, e subito dopo si insinua l’ombra di un pensiero: “Non durerà”, “meglio non fidarsi troppo”, “se mi rilasso troppo succederà qualcosa di brutto”. È un meccanismo sottile, quasi invisibile, che molte persone vivono senza neppure accorgersene. Eppure esiste, e porta con sé una domanda importante: perché la felicità fa paura?


La Cherofobia non è un rifiuto della gioia, né tantomeno una mancanza di desiderio di vivere bene. Al contrario: chi la sperimenta spesso desidera la felicità, ma non riesce a permettersela del tutto. È come se una voce interiore, appresa lungo la strada, dicesse che la felicità è fragile, che mostrare troppa gioia è rischioso, che lasciarsi andare può attirare dolore. In alcune culture e famiglie, si è tramandata persino l’idea che ridere troppo porti sfortuna, o che un’eccessiva spensieratezza debba essere bilanciata da un destino pronto a colpire. Crescere con convinzioni simili lascia segni invisibili, e col tempo si trasformano in schemi che bloccano l’accesso ai momenti sereni.

Questa paura può manifestarsi in tanti modi diversi. Magari ti inviti a un evento che ti entusiasma, ma all’ultimo trovi una scusa per non andarci. Oppure, mentre vivi un periodo di calma e benessere, la tua mente corre avanti e ti dice: “Non illuderti, presto finirà”. Altre volte si traduce in auto-sabotaggio: molli un progetto che ti stava rendendo felice, ti tiri indietro in una relazione che funzionava, ti convinci che “non è cosa per te”. Non c’è nulla di strano: è solo un modo di proteggersi. Ma proprio come un freno a mano lasciato tirato, questa protezione impedisce anche di vivere davvero.


Molte persone mi hanno raccontato che la Cherofobia si accompagna a un senso di colpa difficile da spiegare. Alcuni pensano: “Se io sto bene mentre gli altri soffrono, è ingiusto”. Altri hanno paura di mostrare felicità perché temono l’invidia o il giudizio, quasi che la gioia fosse una mancanza di rispetto. Altri ancora associano l’idea di essere felici a superficialità, come se vivere intensamente i momenti belli fosse un tradimento della serietà della vita. In tutti questi casi, dietro la paura si nasconde una convinzione: meglio trattenere che perdere. Meglio limitarsi che rischiare.

Eppure la vita non funziona così. La felicità non è un premio da meritare, né un lusso riservato a pochi. È un’esperienza naturale, che appartiene a chiunque. Ma se la colleghi costantemente all’idea di perdita, diventa difficile accoglierla. Non a caso, chi prova Cherofobia descrive la gioia come instabile: un vetro sottile che può rompersi da un momento all’altro.


La cultura stessa ha alimentato questa paura. Ci sono proverbi che recitano “chi troppo ride piangerà presto” o “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”: messaggi che hanno instillato nel tempo l’idea che la felicità vada tenuta sotto controllo. In alcune tradizioni religiose, poi, la gioia era vista con sospetto, come peccato di vanità o leggerezza. Crescendo tra queste narrazioni, non stupisce che molte persone abbiano imparato a frenarsi davanti alla gioia, convinte che esporsi troppo porti conseguenze spiacevoli.

La Cherofobia è dunque il risultato di credenze culturali, esperienze personali e paure intime che si intrecciano. Non è un difetto, ma una risposta che il cuore ha imparato a dare. Una protezione, se vogliamo. Ma come tutte le protezioni eccessive, finisce per diventare una gabbia.


Ricordo bene una storia che mi è stata raccontata. Una donna mi disse: “Ogni volta che la mia vita andava bene, accadeva qualcosa di terribile. Ho imparato a non rilassarmi mai. È come se non potessi fidarmi della felicità”. Le sue parole erano piene di logica interna, eppure portavano con sé tanta fatica. Perché vivere costantemente in attesa della caduta impedisce di gustare la bellezza che c’è. E così, nel tentativo di non soffrire, ci si priva proprio di ciò che potrebbe dare forza.

Un’altra persona mi confidò che, quando rideva troppo, si sentiva “colpevole”. Era cresciuta in una famiglia dove la gioia era vista come mancanza di serietà. E così aveva imparato a moderarsi sempre, a non lasciarsi mai andare del tutto. “Se rido troppo – mi disse – è come se stessi mancando di rispetto agli altri”. Anche qui, la felicità veniva interpretata non come diritto, ma come eccesso da controllare.


La Cherofobia si manifesta spesso anche nelle relazioni. Quando qualcuno ti vuole bene e ti fa stare bene, una voce dentro può dirti che non durerà. Così alzi muri, tieni le persone a distanza, smonti ogni segnale positivo. È un circolo vizioso: più ti proteggi, meno riesci a fidarti, e meno ti fidi, più la felicità sembra minacciosa. In fondo, non è altro che paura della vulnerabilità: paura che lasciarsi andare significhi scoprire il fianco al dolore.

Eppure, se ci pensi, ogni emozione intensa comporta un rischio. Amare vuol dire rischiare di perdere. Essere felici significa accettare che un giorno potresti non esserlo. Ma senza questo rischio, la vita resta piatta, chiusa, senza luce. La vera forza non sta nell’evitare la gioia per paura di perderla, ma nell’imparare a restarci dentro, anche se fragile.


A rendere il tema ancora più vicino a noi è stata anche l’arte. Qualche anno fa, la giovane cantante Martina Attili ha portato sul palco una canzone intitolata proprio “Cherofobia”. In quel brano, raccontava la sua paura di essere felice. Quelle parole hanno risuonato in tantissimi giovani, perché finalmente qualcuno dava voce a un sentimento che molti avevano provato in silenzio. Non si trattava di fare diagnosi, ma di raccontare un’esperienza comune. E l’arte, ancora una volta, ci ha mostrato quanto parlare di certe paure possa renderle meno spaventose.

Quando ci rendiamo conto che non siamo soli, la paura perde potere. Sapere che altre persone vivono la stessa tensione, che altre mani tremano quando arriva la gioia, crea un senso di sollievo. È come se improvvisamente ci fosse più spazio per respirare.


Allora, come si può cominciare ad accogliere la felicità senza sentirla come una minaccia?
Non serve una rivoluzione, né sforzarsi di essere felici a tutti i costi. La felicità non è un dovere, e non può essere imposta. Si tratta piuttosto di concedersi piccoli momenti di gioia senza giudizio. Un caffè sorseggiato lentamente, una passeggiata al sole, una chiacchierata sincera. Sono gesti quotidiani, ma diventano allenamenti per lasciare entrare la luce.

La cosa più importante è smettere di considerare la felicità come qualcosa che deve durare per sempre. La felicità è fatta di attimi, e proprio per questo è preziosa. Non serve possederla, basta viverla. Quando arriva, accoglila come un dono. E se finisce, non significa che non tornerà.

Se senti che la paura ti blocca troppo, può essere utile parlarne con qualcuno che sappia ascoltare senza giudicare. Un percorso di ascolto profondo, un dialogo sincero, possono aiutarti a sciogliere quelle convinzioni radicate che ti impediscono di godere della vita. Sul sito principale di Beatrice Lencioni puoi trovare spunti e riflessioni su come accogliere meglio la tua parte autentica. E se senti che è il momento di un confronto personale, puoi contattarmi attraverso la pagina dei contatti o prenotare un colloquio gratuito, per esplorare insieme queste emozioni con delicatezza e rispetto.


Ricorda: la Cherofobia non è un muro invalicabile, è solo una porta che per paura teniamo chiusa. Dietro quella porta ci sono la leggerezza, il piacere, il calore dei legami. Non serve spalancarla tutta insieme: basta socchiuderla, lasciando passare un raggio di luce.

La felicità non è perfetta, non è eterna, non è senza rischi. Ma è reale, e vale la pena viverla. Se ti spaventa, non significa che non sia per te. Significa solo che hai bisogno di imparare a fidarti, un passo alla volta.

Sii gentile con te stess*, non pretendere di liberarti subito della paura. Riconoscila, ascoltala, e poi prova ad andare oltre. Concediti la possibilità di sorridere, anche se tremi. La felicità non è un pericolo: è la prova che sei vivo, che sei viva, che meriti di sentire il cuore leggero.

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