
Che cos’è una ferita emotiva e come possiamo prendercene cura
Beatrice LencioniCondividi
La ferita emotiva diventa luce quando la ascolti e la accogli con gentilezza: da cicatrice a rinascita interiore.
C’è un dolore che non si vede, ma che si sente con ogni fibra del corpo. È come una cicatrice invisibile, che non sanguina, ma brucia quando la tocchi senza volerlo. È la ferita emotiva. Non serve che qualcuno te la mostri: la riconosci nei gesti che fai senza pensarci, nelle parole che ti feriscono più del dovuto, in quelle reazioni che scattano da sole, come se non le avessi decise tu.
Proprio come una ferita fisica, anche una ferita emotiva nasce da un evento che ha lasciato un segno profondo. Ma la differenza è che qui non conta soltanto ciò che è successo: conta come lo hai vissuto, soprattutto se eri un bambino o una bambina che non aveva ancora tutti gli strumenti per capire. Da piccoli, non filtriamo il mondo con la logica: lo sentiamo e basta. Così, un genitore distratto, un abbraccio mancato, una frase detta senza cattiveria ma al momento sbagliato, possono diventare tagli invisibili che restano aperti per anni.
E spesso non è l’evento in sé a fare più male, ma l’interpretazione che ne diamo. Un bambino che vede la mamma uscire di casa senza salutarlo può sentire dentro un vuoto: “Non le importo abbastanza”. Un ragazzino che riceve una critica dal papà può pensare: “Non valgo”. E quelle frasi silenziose, pronunciate dentro di sé, diventano radici che affondano nel profondo.
Nel tempo, queste radici possono trasformarsi in veri e propri “copioni” emotivi. Ci sono persone che portano la ferita dell’abbandono e fanno di tutto per non restare sole: chiedono conferme continue, si aggrappano alle relazioni anche quando fanno male, vivono con la paura costante che qualcuno possa andarsene. Altri portano il segno del rifiuto e tendono a scomparire: preferiscono non mostrarsi troppo, non esporsi, così da evitare di essere messi alla porta un’altra volta.
Poi c’è chi ha vissuto l’umiliazione: cresce con la convinzione di non valere, e spesso si mette da parte, o si nasconde dietro un sorriso ironico per non mostrare la propria vulnerabilità. Chi ha sperimentato il tradimento, invece, vive con il sospetto negli occhi: fidarsi diventa un lusso troppo costoso. E chi porta dentro la ferita dell’ingiustizia è sempre in lotta per dimostrare qualcosa, inseguendo una perfezione che non esiste, ipercritico con sé stesso e con gli altri.
Il passato non resta mai davvero nel passato. Basta poco per riattivarlo: un gesto distratto del partner, una parola del capo in ufficio, il silenzio di un amico che non risponde al messaggio. Non stiamo reagendo a ciò che sta succedendo adesso: stiamo rispondendo a un dolore antico, che nel presente trova un’eco. Ecco perché a volte le nostre reazioni sembrano esagerate, sproporzionate. Non è “questo” il problema: è “quello” che torna a farsi sentire.
Riconoscere le proprie ferite non è facile. Spesso passiamo anni a dare la colpa agli altri: “È lui che mi fa sentire così”, “È lei che non mi capisce”. Eppure, il primo passo verso la guarigione è proprio smettere di guardare fuori e iniziare a guardare dentro. Non per incolparsi, ma per riprendere in mano il proprio potere.
Uno strumento prezioso per iniziare è la scrittura. Non quella corretta e ordinata, ma quella che esce di getto, senza filtri. Sedersi, prendere carta e penna, e lasciare che le parole scorrano così come vengono: “Oggi ho sentito questo”, “Quando mi ha detto quella frase ho provato questo”, “In quel momento ho ricordato…”. Scrivere non cancella il dolore, ma lo porta alla luce, e ciò che si illumina diventa più facile da comprendere.
Un altro passo fondamentale è trovare uno spazio sicuro, una presenza che ascolti senza giudicare. Non serve che sia qualcuno che “risolva” il problema: serve qualcuno che ti veda e ti accolga, che diventi quella base sicura che forse non hai avuto quando eri piccolo. In quello spazio, puoi dare voce al tuo bambino interiore: quella parte di te che un tempo si è sentita sola, rifiutata, tradita, e che oggi ha bisogno di essere finalmente vista.
Carl Gustav Jung diceva che non si guarisce eliminando il dolore, ma integrandolo. La ferita non sparisce: diventa parte della nostra storia, ma smette di governarci. Diventa un capitolo che possiamo leggere senza che ci travolga, un segno che ci ricorda dove siamo passati, ma anche quanto siamo cresciuti.
La verità è che nessuno di noi può tornare indietro e riscrivere l’infanzia. Ma possiamo scegliere cosa fare oggi con ciò che ci è rimasto. Possiamo restare fermi, con la ferita ancora aperta, oppure possiamo prendercene cura: con pazienza, dolcezza, ascolto. Possiamo imparare a riconoscerla quando si attiva, a parlarle come si parla a un bambino spaventato: “Ti vedo, ti sento, ci sono io adesso”.
E tu, che stai leggendo queste righe, forse ti sei riconosciuto in qualche frammento di questa storia. Forse porti anche tu una ferita che si riapre di tanto in tanto. Non è un segno di debolezza: è un invito alla cura. Puoi iniziare leggendo altri contenuti nella pagina principale, oppure scrivermi tramite i contatti. E se vuoi fare un passo concreto, puoi prenotare un colloquio online gratuito.
Le ferite emotive non si chiudono con la fretta, ma con la presenza. E quando impari a restare accanto al tuo dolore, senza scappare, accade qualcosa di silenzioso e potente: quella ferita, che un tempo sembrava solo un peso, diventa il punto da cui comincia una vita nuova.