Beatrice Lencioni Counselor

Ascolta il tuo corpo: lettera aperta a chi non riesce più a sentire se stesso

Beatrice Lencioni

Cara amica, caro amico,

ti scrivo con la stessa pazienza con cui si sfoglia un album di fotografie: a passo lento, una pagina alla volta, lasciando che ricordi e sensazioni trovino il loro posto senza fretta. Mi rivolgo a te che vivi a perdifiato, che stringi i denti quando qualcosa duole, che metti a tacere il brontolio dello stomaco con uno snack al volo o spegni un mal di testa con la prima pastiglia trovata in borsa. Lo capisco bene: per anni anch’io ho trattato il mio corpo come un ingombrante passeggero da tenere buono. Finché, un pomeriggio di spesa al supermercato, un semplice piegamento mi ha bloccato la schiena. Ricordo il rumore secco del carrello che scivolava via e la certezza – istantanea, quasi feroce – che quello strappo non riguardava solo qualche muscolo, ma mesi interi passati a ignorare segnali sempre più insistenti. Quell’episodio, doloroso come uno schiaffo, mi ha costretta a domandarmi perché ignoriamo i segnali che il corpo manda senza sosta e con un linguaggio chiarissimo per chi sa ascoltare.

La verità è che ci viene insegnato a performare prima ancora di camminare: voto alto, prestazione sportiva, foto perfetta sui social. Così impariamo a spingere, accelerare, sovrascrivere la stanchezza con un caffè in più e la tristezza con il prossimo obiettivo da raggiungere. Il corpo, povero, resta lì a fare da altoparlante dei nostri bisogni, sovrastato dal volume dei doveri. Solo quando stacca la corrente – un’influenza a ripetizione, una gastrite che non passa, una tachicardia improvvisa – iniziamo a chiederci che cosa stia succedendo davvero. Ecco perché oggi, con la premura che riservo alle persone che seguo in counseling, desidero accompagnarti in un viaggio diverso, più morbido, dove imparare a sentire diventa un atto rivoluzionario di cura e di libertà.

Fa’ una prova adesso: appoggia i piedi a terra, rilassali quanto basta da sentirne il contatto con il pavimento; poi chiudi gli occhi, porta l’attenzione al respiro e segui l’aria mentre entra dal naso, si espande nel ventre, scende fin sotto l’ombelico. Non devi aggiustare nulla, non c’è un modo giusto di respirare. Limitati a registrare le sensazioni: la temperatura dell’aria, il diaframma che si apre come un mantice, il petto che si riempie e si svuota. Questa piccola sosta è il biglietto d’ingresso nella palestra interiore del body scan, una passeggiata attenta che dal mignolo del piede risale fino alla sommità del capo, invitandoti a osservare – senza giudizio – il racconto sottile dei tuoi tessuti: la caviglia che pulsa stanca, il polpaccio ancora indolenzito dopo la corsa, l’addome che vibra di emozioni antiche. Ogni volta che la mente si distrae, ritorna con gentilezza alla parte che stavi esplorando; un po’ come riportare un cane curioso sul sentiero senza strattonarlo.

Se stare fermo ti mette ansia, sperimenta la camminata consapevole. Cammina al tuo ritmo, ma con la curiosità di un turista in una città sconosciuta: nota la pianta del piede che spinge, la caviglia che rulla, il ginocchio che si estende, il bacino che accompagna. Trasformi così un tragitto qualsiasi – dal parcheggio all’ufficio, dal salotto alla cucina – in un rito di presenza che rinfresca la mente più di un caffè espresso.

Arriverà il momento in cui un sintomo pretenderà la tua attenzione, forse un dolore alla nuca, un bruciore allo stomaco o quel formicolio alle mani che compare nei giorni più pieni. Ecco allora l’invito a decifrare i sintomi con la stessa cura con cui tradurresti una lettera in una lingua straniera. Prendi spunto da Marta, una donna che seguo da tempo, perseguitata da cervicalgie che nessuna radiografia spiegava. Sedute dopo sedute, abbiamo scoperto un filo rosso: ogni volta che temeva il giudizio altrui, tratteneva il respiro e ser­rava le spalle, trasformando l’ansia in tensione muscolare. Quando ha imparato a esalare lentamente prima di parlare in riunione, gli attacchi dolorosi si sono diradati. Non serve magia, serve ascolto.

Quel linguaggio si manifesta anche attraverso il cibo. Il corpo sa distinguere la fame reale da quella emotiva, ma noi abbiamo trasformato i pasti in pit‑stop lampo, ingurgitando bocconi distratti davanti al computer. Prova, la prossima volta, a chiederti se la pancia brontola davvero. Se decidi di mangiare, poggia la forchetta tra un boccone e l’altro, mastica il doppio, assapora. Ti accorgerai che la fame, la sete, la sazietà non abitano nel conteggio di calorie ma in sensazioni primitive, in trilli delicati che tornano udibili solo nel silenzio dei gesti lenti.

Non possiamo parlare di ascolto senza toccare il nesso tra corpo ed emozioni. In consulenza uso spesso l’espressione emozioni incarnate per ricordare che la rabbia scalda il petto, la paura stringe lo stomaco, la gioia distende le spalle. È un alfabeto condiviso dall’umanità intera. Concediti di osservare quella impronta emotiva: se senti il nodo in gola, non combatterlo; appoggia la mano sul collo, senti il calore, permetti alla tensione di raccontarti la sua storia. La sera, prendi carta e penna e scrivi un diario somatico: tre parti del corpo rilassate, tre contratte, l’emozione abbinata a ciascuna zona. Con il tempo individuerai pattern sorprendenti e potrai intervenire ancor prima che la valanga emotiva rotoli.

Ora concediamoci una pausa, perché il corpo comunica anche attraverso la stanchezza. Studi sul ritmo ultradiano mostrano che ogni novanta minuti il sistema nervoso chiede un micro‑stop: due respiri profondi alla finestra, un sorso d’acqua, due stiracchiamenti. Ignorare questo richiamo scatena montagne‑russe glicemiche, dipendenze da caffeina e, a lungo andare, insonnia. Il riposo e la vitalità sono amanti inseparabili: smettiamo di vederli come opposti. Immagina il tuo sonno come un reset notturno; spegni lo schermo mezz’ora prima di coricarti, massaggia le tempie con un olio essenziale, ascolta il respiro che si fa più lungo. Stai dicendo al tuo sistema nervoso: sei al sicuro, puoi lasciare il timone.

Tutto questo sentire avrebbe poco senso se non si traducesse in scelte concrete – è qui che il cammino dall’ascolto all’agire diventa tangibile. Se dopo pranzo senti la mente annebbiata, magari ti basta una passeggiata all’aria aperta invece di un altro dolce. Se durante una riunione serri la mascella, forse stai valicando un limite personale non espresso: fare un respiro e verbalizzare con calma può cambiare la giornata a te e a chi ti ascolta. Io tengo un piccolo timer in studio; quando suona, chiedo: «Che cosa senti in questo preciso istante?». All’inizio i clienti restano spiazzati, poi scoprono che ripetere la domanda nella vita quotidiana riduce ansia e automatismi in modo sorprendente.

E se il segnale resta confuso? Allora arriva il momento quando serve supporto. Un percorso di counseling somatico – privo di diagnosi mediche e centrato sull’esperienza presente – può offrirti uno specchio gentile. A volte integriamo sessioni di osteopatia, altre volte movimento espressivo o pratiche meditative: non esiste misura unica, esiste la creatività al servizio della tua unicità. Se vuoi approfondire, sul mio sito troverai molti articoli gratuiti e, nel caso desiderassi un incontro individuale, puoi scrivermi da qui: la porta è sempre aperta, proprio come il dialogo con il tuo corpo.

Arrivato a questo punto potresti chiederti se valga la pena di investire tempo in un viaggio tanto sottile. Permettimi di risponderti evocando l’immagine di un cerchio: finirà che tornerai più volte sullo stesso punto, scoraggiato magari dagli impegni, ma ogni giro aggiungerà un po’ di ampiezza al tuo respiro, un filo di morbidezza alle tue spalle, un istante di silenzio prima di reagire d’impulso. Conclusione: un viaggio circolare, appunto, dove ascoltare il corpo non è un risultato ma un modo di stare al mondo, un atto di cura quotidiana che restituisce dignità ai nostri limiti e luce ai nostri desideri.

Ti saluto con la certezza che il tuo corpo, dal primo all’ultimo giorno, resterà il compagno più fedele che avrai: potrai allontanarti, distrarti, perfino arrabbiarti con lui, ma basterà un singolo respiro consapevole per ristabilire il contatto. Che questo respiro sia il tuo prossimo passo, oggi stesso.

Con gratitudine e fiducia,
Beatrice

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