Chi è il counselor e cosa fa davvero: parole per chi si sta cercando

Chi è il counselor e cosa fa davvero: parole per chi si sta cercando

Beatrice Lencioni

Ciao,
forse stai attraversando un momento in cui ti senti un po’ perso, un po’ persa. Succede, sai? Anche a chi sembra sempre forte. Anche a chi ha “tutto a posto”. Ci sono fasi della vita in cui non si capisce più bene da che parte andare. In cui senti che c’è qualcosa che non funziona ma non riesci a metterci il nome. A volte è una relazione che traballa, altre volte è un malessere sottile, che non fa rumore ma logora piano. Magari è semplicemente la voglia di sentirti di nuovo a casa dentro di te.

Ecco, se ti riconosci almeno un po’ in queste parole, forse è arrivato il momento di conoscere meglio chi è davvero un counselor. Non perché io voglia convincerti a intraprendere un percorso con me. No. Ma perché mi capita spesso di parlare con persone che non sanno neanche che questa figura esiste. O, peggio ancora, che la confondono con qualcos’altro.

Quando dico che sono una counselor, la prima reazione che ricevo è spesso uno sguardo interrogativo. “Quindi sei una psicologa?” mi chiedono. È una domanda comprensibile, in un mondo in cui si è abituati a dividere le figure d’aiuto in categorie ben definite. Psicologo, psicoterapeuta, coach… counselor?

Il counselor non è uno psicologo. Non fa diagnosi, non lavora con la patologia, non cura. È una figura diversa. È qualcuno che ti affianca nei momenti di difficoltà, non per dirti cosa fare, ma per aiutarti a guardarti dentro con più chiarezza. Ti aiuta ad ascoltarti, a fare ordine tra i pensieri, a riconoscere ciò che senti senza giudicarlo.

Non lavora sul passato in senso terapeutico, ma sul presente. Eppure non è superficiale. Il counseling può toccare corde profondissime, ma lo fa con delicatezza, con rispetto, con la consapevolezza che ognuno ha i suoi tempi.

Nel mio lavoro quotidiano, ricevo persone che portano storie tanto diverse quanto simili. C’è chi arriva con il cuore a pezzi per una separazione, chi si sente invisibile in famiglia, chi non riesce a scegliere tra due strade, chi è semplicemente stanco di farsi sempre da parte. In ognuna di queste situazioni, il mio compito non è trovare la soluzione, ma creare lo spazio affinché quella soluzione emerga da dentro.

Ci sediamo insieme, ci prendiamo un tempo tutto nostro, senza fretta. E ascoltiamo. Ascoltiamo davvero, senza filtri, senza ruoli. È lì che accade la magia. Non sempre è facile, intendiamoci. A volte vengono fuori lacrime, silenzi, rabbie represse. Ma sono proprio quei momenti che fanno da ponte verso una nuova consapevolezza.

Ricordo ancora una donna, poco più che trentenne, che entrò nel mio studio con la voce bassa e lo sguardo pieno di vergogna. “Non dovrei sentirmi così, ho una bella famiglia, un lavoro stabile, eppure…” Eppure sentiva un vuoto che non sapeva nominare. Non era depressione, né un disagio clinico. Era quel malessere muto che spesso accompagna le persone che si sono perse nel compiacere gli altri. Insieme abbiamo camminato per un po’, e un giorno, dopo un lungo silenzio, mi ha detto: “Mi sento di nuovo vera”. Non servono molte altre parole.

Il mio modo di lavorare è integrato. Uso il dialogo, certo, ma anche strumenti che aiutano ad ascoltare il corpo e le emozioni in modo più profondo. La Mindfulness, i Fiori di Bach, il Focusing, il ThetaHealing, le Costellazioni Familiari: tutte tecniche che, quando usate con misura e sensibilità, diventano ponti tra ciò che senti e ciò che sei davvero.

Ma al di là dei metodi, ciò che conta è la relazione. Quella fiducia sottile che si costruisce nel tempo e che rende possibile dire cose che magari non hai mai detto a nessuno. Spesso chi si affida a me mi dice: “Non ho mai parlato così con nessuno”. Non perché io faccia qualcosa di speciale, ma perché offro uno spazio in cui puoi esistere, così come sei, senza maschere.

Capita che qualcuno mi chieda: “Ma quando ha senso venire da un counselor?”. La risposta più onesta che posso darti è: ogni volta che senti il bisogno di ascoltarti. Non serve “stare male davvero” per intraprendere un percorso. Anzi, il counseling è particolarmente utile proprio nei momenti in cui la sofferenza è ancora sfumata, in cui il disagio non si è cristallizzato in una diagnosi. È lì che possiamo fare il lavoro più profondo, più creativo, più autentico.

Magari senti che non riesci a dire di no, che ti adatti troppo, che ti arrabbi senza capire perché. Magari ti ritrovi sempre nelle stesse dinamiche affettive o fai fatica a scegliere per te. Questi sono segnali preziosi. Sono la tua anima che ti parla.

So che scegliere il counselor giusto non è facile. C’è un mare di proposte là fuori. Il mio consiglio è di ascoltare le parole che usa, il modo in cui si racconta. Ti fa sentire accolta, accolto? Senti che potresti fidarti? Allora forse è la persona giusta con cui iniziare.

Nel mio sito beatricelencioni.it ho cercato di raccontare chi sono e come lavoro in modo trasparente. E se ti va, puoi scrivermi tramite questa pagina di contatto per un primo colloquio conoscitivo, senza impegno. Spesso basta una chiacchierata per capire se può nascere qualcosa di buono.

Ti lascio con un pensiero. Vivere bene non significa non avere mai problemi. Significa sapere che puoi affrontarli, che non sei solo o sola. Il counselor non ha ricette pronte. Ma ha cuore, orecchie, tempo, ascolto. E a volte, è proprio ciò che serve per ritrovare il cammino.

Con affetto,
Beatrice

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