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Essere un figlio genitoriale: il peso di crescere troppo in fretta

Beatrice Lencioni
Nella vita di molte famiglie si nascondono dinamiche invisibili, ma profondamente radicate, che possono segnare l’identità e il percorso di crescita di un bambino. Una di queste è la parentificazione, ovvero quando un figlio, spesso inconsapevolmente, assume il ruolo di genitore o di adulto responsabile all’interno della famiglia. Questo fenomeno, anche se apparentemente innocuo, può avere un impatto significativo sulla sua vita emotiva e relazionale.

Storie che raccontano il peso della responsabilità

Immaginiamo Anna, una donna di 35 anni, che durante un colloquio di counseling inizia a raccontare il suo passato. Da bambina, la madre era affetta da una depressione cronica, e il padre lavorava spesso lontano da casa. Anna, fin da piccola, si occupava dei fratellini più piccoli: li svegliava al mattino, preparava loro la colazione e li aiutava con i compiti. Ricorda con dolore di non aver mai avuto tempo per sé, di non aver mai giocato spensierata come gli altri bambini.

Oppure pensiamo a Marco, un uomo di 40 anni che, dopo una serie di relazioni fallite, cerca aiuto per comprendere perché si senta sempre “responsabile” delle emozioni della sua compagna. Parlando, emerge che da piccolo si era sentito il custode della felicità della madre, sempre pronta a riversare su di lui i suoi problemi matrimoniali. Marco, oggi, fatica a riconoscere i propri bisogni, perché ha imparato che “essere amato” significa prendersi cura degli altri, spesso a scapito di sé stesso.

Come si manifesta la parentificazione

Queste storie, pur nella loro unicità, hanno un filo conduttore comune: il ruolo invertito tra genitore e figlio. La parentificazione può assumere due forme principali:
  1. Parentificazione strumentale: quando il figlio si occupa delle faccende pratiche, come cucinare, prendersi cura dei fratelli, o addirittura contribuire al sostentamento economico della famiglia.
  2. Parentificazione emotiva: quando il bambino diventa il confidente o il sostegno psicologico del genitore, assumendo su di sé un peso emotivo troppo grande per la sua età.

In entrambi i casi, il bambino si trova a mettere da parte i propri bisogni, sviluppando un senso di responsabilità sproporzionato e una maturità precoce.

Le conseguenze di crescere troppo in fretta


Essere un figlio genitoriale non è solo una fase temporanea: è un’esperienza che può plasmare profondamente l’adulto che diventerà.
  • Difficoltà relazionali: Chi è cresciuto come figlio genitoriale tende a sentirsi responsabile per la felicità degli altri, entrando spesso in relazioni sbilanciate.
  • Bisogno di controllo: Per paura che qualcosa vada storto, molti figli genitoriali sviluppano una tendenza al perfezionismo e al controllo.
  • Difficoltà a chiedere aiuto: Abituati a prendersi cura degli altri, possono faticare a esprimere i propri bisogni o a dipendere da qualcuno.
  • Stanchezza emotiva: Portare il peso delle emozioni altrui fin da piccoli può portare, in età adulta, a esaurimento emotivo, ansia e persino depressione.

Il ruolo del counselor nel percorso di guarigione


Affrontare le ferite lasciate dalla parentificazione richiede tempo, pazienza e uno spazio sicuro dove sentirsi ascoltati e accolti. È qui che un counselor può fare la differenza.

Un counselor, attraverso tecniche come il focusing, la mindfulness e l’ascolto empatico, aiuta la persona a:
  • Prendere consapevolezza: Spesso, chi è stato un figlio genitoriale non si rende conto di quanto quel ruolo abbia influenzato la sua vita. Il primo passo è riconoscere la dinamica e accettarla senza giudizio.
  • Esplorare i propri bisogni: Il counselor guida la persona a riscoprire i propri desideri e bisogni autentici, dando loro spazio e valore.
  • Riconoscere i confini: Imparare a distinguere tra ciò che è “tuo” e ciò che appartiene agli altri è fondamentale per costruire relazioni più sane e bilanciate.
  • Coltivare l’autostima: Il counselor aiuta a liberarsi dal senso di colpa e a comprendere che il proprio valore non dipende dalla capacità di prendersi cura degli altri.

Riconquistare sé stessi

Essere stato un figlio genitoriale può sembrare un fardello, ma può anche essere un’opportunità per riscoprire una forza interiore unica. Come Anna, che alla fine del suo percorso di counseling ha dichiarato: “Per la prima volta, sto imparando a scegliere me stessa. Non è facile, ma è liberatorio”.

O come Marco, che ha trovato il coraggio di dire alla sua compagna: “Ho bisogno di imparare ad amarmi per primo, perché solo così potrò amarti davvero”.

Il cammino verso la guarigione non è lineare, ma con il supporto di un professionista e il desiderio di crescere, è possibile trasformare le ferite in risorse e ricominciare a vivere con leggerezza, senza più il peso di dover essere il “genitore” di tutti.

Un invito alla riflessione

Se ti riconosci in queste parole o pensi di essere cresciuto troppo in fretta, ricorda che non sei solo. Ci sono mani tese pronte ad aiutarti e professionisti capaci di accompagnarti verso una nuova consapevolezza. Perché, anche se il passato non si può cambiare, possiamo sempre scegliere come vivere il presente.

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